Marilena De Stefano

Artist
Turin
Profile picture of Marilena De Stefano
Mi chiamo Marilena De Stefano, eoliana di origine, classe 1974. Sono cresciuta a Spadafora, in provincia di Messina. Una volta conseguito il diploma di maturità ho proseguito i miei studi frequentando l’Università di Architettura a Reggio Calabria, facoltà che poi ho abbandonato per dedicarmi a quella che era la mia vera passione: l’arte.
Mi sono iscritta quindi all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, dove Il 29 settembre 1997 mi sono diplomata in Decorazione. Nel 2005 ho conseguito il Diploma di II livello in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo e nel 2008 ho ottenuto l’abilitazione all’insegnamento.
Prima e durante il mio impiego di docente la mia attività artistica mi ha permesso di essere selezionata e invitata a partecipare a diverse esposizioni nazionali e internazionali ottenendo apprezzabili riconoscimenti. I miei lavori sono presenti in diversi cataloghi e pubblicazioni.

Io e Marilena De Stefano ci siamo conosciute a Fuocherello tre anni fa, nei primi mesi della galleria. Da allora è stata una presenza costante alle inaugurazioni sotto la mia direzione. Una presenza attiva, mai neutrale: puntualmente armata di osservazioni sensibili sulle opere e sugli artisti, e con una comprensione singolare del progetto che stavamo costruendo e delle intenzioni ancora in maturazione di uno spazio che cercava di guadagnarsi il proprio posto all’interno della Fonderia Artistica De Carli e nel sistema dell’arte contemporanea in Italia.
Conoscevo il suo legame personale con la Fonderia che ospita la galleria e sapevo del suo passato da artista. Nel tempo, per curiosità, le avevo chiesto più volte se lavorasse ancora, se fosse disposta a mostrarmi qualcosa, ma la sua risposta era sempre stata una resistenza garbata: “Largo ai giovani!”, diceva. E, se da una parte apprezzavo questo atteggiamento — raro nel nostro campo — dall’altra restavo stupita. Pensavo: Marilena, non sei poi così grande, soprattutto considerando quanto bruscamente e prematuramente la tua carriera d’artista si sia interrotta.
Quest’anno, con la possibilità di utilizzare la Cappella Pilotti di Volvera come project space, qualcosa deve essersi mosso in lei. Forse quel giardino ai margini dell’autostrada, o quella piccola cappella, hanno fatto riaffiorare il desiderio di creare. Creare non solo per se stessa, ma per mostrarsi. Esporre, esporsi, che è un po’ come mettersi a nudo, e non è per tutti. Anche chi sceglie di esibire il proprio lavoro non lo fa con assoluta convinzione perpetua: ci sono periodi in cui l’urgenza manca, altri in cui si è spinti da profonda necessità; volte in cui sono le opere stesse a pretendere di essere viste. Come figli pronti alla vita fuori casa, via dal nido. Ad avere autonomia rispetto all’artista e al luogo in cui sono state generate: lo studio.
Dopo tanti anni in cui il suo lavoro è rimasto intrappolato nello studio e la sua identità di artista ostaggio dell’identità di professoressa dell’accademia, Marilena ha accettato la sfida di questa mostra con grande coraggio. Non ricordo con precisione come l’idea sia nata e si sia concretizzata, ma da quel momento non ho più colto in lei esitazioni: nessuna ombra di timidezza. Sembrava che gli anni dedicati all’insegnamento non avessero interrotto un percorso, ma solo sospeso una ricerca che oggi riprende con una voce già definita e consapevole.
La mia estate, fatta di lavoro e vacanze, è stata scandita dalla sua presenza. Non avevo mai parlato così tanto con un’artista prima di una mostra: messaggi, foto, telefonate. Ma tra le nostre conversazioni percepivo domande inevase, legate alla sua scelta di tornare a mostrarsi. Domande che si possono porre solo in un momento conviviale, con la complicità che a volte regala un bicchiere di vino. Così, per non inaugurare con questi pensieri sospesi, e sapendo di dover scrivere questo testo, il 10 settembre ci siamo incontrate in un’enoteca in centro a Torino, a due passi da casa sua e da Porta Nuova, lontane da Volvera e dalla Cappella Pilotti. Bianco fermo per lei, prosecco per me.
Mi ha narrato il suo esordio artistico, gli incontri che hanno segnato il suo cammino, l’ingresso in Accademia come docente e la tenacia con cui si è tenuta stretta quella cattedra durante quasi un decennio di precariato. E poi, il sollievo della stabilizzazione nel 2018, che ha acceso in lei una rinascita, un risveglio impetuoso della necessità di creare e, col tempo, di condividere nuovamente il proprio lavoro.
In questa mostra, composta prevalentemente da incisioni su carta di varia natura, il lavoro di Marilena si manifesta in tutta la sua forza installativa, quasi scultorea. Il suo sguardo si posa sull’ambiente, arricchito dall’anno di studi in architettura, dove ha confrontato progettualità e visione spaziale d’insieme. Nella Cappella emerge un racconto: sculture si svelano appena dall’ingresso, come erbacce che affiorano dal cemento, mute e quasi timide, quasi volessero spiare il visitatore anziché il contrario. Sono fusioni di cardi secchi attorcigliati, intrecciati a elementi naturali veri. Per Marilena, sono figli di ricordi di quei paesaggi immoti delle spiagge siciliane in cui è cresciuta, orizzonti incontaminati che ormai non esistono più. Per me, evocano paesaggi lontani, come balle di fieno rotolanti in un film di Sergio Leone.
Le incisioni, come fogli che piovono dal cielo, si intrecciano con l’architettura, dominando la gran parte dello spazio e l’attenzione del visitatore. La carta si muove, con il vento che entra dall’esterno e dai movimenti d’aria che generano gli spettatori muovendosi nello spazio. La cappella così sembra respirare, sospirare. Non a caso Marilena ha intitolato la mostra Vento di Levante: la Cappella Pilotti guarda a levante, spesso attraversata da folate d’aria che provengono da est. La reiterazione della stampa e la fragilità della carta, si confrontano con la dimensione dell’intervento che invade lo spazio quasi con prepotenza. La lenza da pesca, scelta per appendere le stampe, si mostra e nasconde allo stesso tempo. La lacerazione della carta, inevitabile imprevisto, spinge avanti l’artista, senza timore. A Volvera, fin poco fa, c’era il sole; da ieri il cielo si è coperto di temporali. Domani 3BMeteo da sereno, il meteo dell’Iphone temporale. Questo mi turba un po’, per il successo dell’evento e per l’incolumità delle opere, ma lei sorride e rassicura: “se arriveranno dei colpi di vento che aggroviglieranno i miei lavori meglio: è quello che cercavo, una danza.”
Hai avuto un esordio artistico caratterizzato da successi e incontri importanti. Cosa ti ha spinto a prendere una pausa dall’arte e cosa ti ha convinto a tornare ora?
Sì, tra le altre cose, ero stata selezionata per il PS1…; non era esplicitato, ma tra le righe c’era il tacito accordo che qualche gallerista ti dovesse rappresentare. Io però ero esordiente e non avevo una galleria; perciò un professore che sosteneva il mio lavoro chiese al suo gallerista, Margiacchi, di presentarmi. Quando emerse con la commissione che non era il mio gallerista, scoppiò un casino. Alla fine importò poco, perché la mia famiglia, probabilmente, mi avrebbe impedito comunque di partire per gli Stati Uniti. Da sola, senza il loro sostegno, non avrei potuto affrontare il viaggio e cogliere l’opportunità. Altri tempi!
Di mostre ne facevo parecchie anche se il mio vero desiderio era quello di insegnare all’Accademia di Belle Arti. Ebbi dunque la fortuna di conoscere personaggi importanti nel mondo dell’arte contemporanea. Tra questi Giancarlo Politi che per anni fu sostenitore del mio lavoro; fu lui a dirmi chiaramente che insegnare in accademia avrebbe significato la fine della mia vita artistica. E probabilmente aveva ragione… Dopo diciassette anni ho capito di essermi fossilizzata là dentro a causa di anni e anni di precariato. Cercando di tenermi stretta la cattedra dal 2008.
Nel 2018 ho vinto il concorso e la mia posizione in Accademia si è stabilizzata. Da allora ho ricominciato a sentire la necessità e il desiderio di creare.
Il project space della Cappella Pilotti rappresenta un’iniziativa nuova, mentre la galleria Fuocherello si concentra soprattutto sulla scultura. Tuttavia, credo che il tuo lavoro sia coerente con la nostra identità: pur essendo composto principalmente da incisioni su diversi tipi di carta, risulta fortemente installativo, se non addirittura scultoreo.
Si, io guardo sempre lo spazio. Mi piace molto occupare l’ambiente al di là del supporto. Sono legata alla tradizione e alla manualità. Iscrivendomi all’università ho studiato architettura per un anno. E la progettualità, la visione dello spazio nel suo insieme mi ha sempre attirato.
Hai realizzato delle fusioni per questa mostra, sono state le tue prime? E come sono nate le sculture dei cardi in bronzo?
No, non sono state le mie prime fusioni. Io ho sempre visto grovigli di cardi ed erbe secche portati dal vento sulle spiagge della Sicilia, dove sono cresciuta; ho voluto ricostruire quella situazione lì. La Cappella Pilotti è posizionata a levante. E le arriva il vento da levante, il vento diretto da est. Una parte della carta che ho utilizzato è giapponese, ma arriva dalla Cina. Me l’ha portata una mia studentessa. Ho utilizzato anche la carta Rosaspina, la tedesca, la velina. Però il nucleo dell’installazione è fatto di una carta che a sua volta viene da Est, ha fatto un viaggio per arrivare fin a me, fino a noi.
Ah! Ecco il perché del titolo!
Si, poi ho scelto come titolo Vento di Levante per “spazzare” tutto quello che avviene intorno a noi in questo momento. Cerco leggerezza, non impegno politico o sociale; non ho mai voluto politicizzare la mia arte, lo lasciamo fare a chi lo sa fare. Voglio pensare alla lentezza, a una pratica artigianale, fisica, mia. Ho bisogno di respiro. La pratica manuale e la lentezza che inevitabilmente la accompagna, portano automaticamente a ragionare, a riflettere. Vedendo la cappella ho immaginato subito questa leggerezza, questo vento appropriarsi dello spazio.
Forse è banale, però mi va bene.
La cappella è uno spazio espositivo piuttosto complesso. Come ti sei approcciata alla preparazione del progetto espositivo in questo contesto particolare?
Non è la prima volta che mi capita di esporre fuori dal classico White Cube. Tutto il mio lavoro nasce anche in funzione della situazione. Progredisce, si modifica. Abbraccia le peculiarità dello spazio. Fosse stato neutrale forse non sarebbe stato lo spazio giusto per accogliere il mio lavoro e questo mio ritorno. Poi a questa domanda forse risponderemo meglio dopo aver finito di installare la mostra. L’ambiente è accogliente, probabilmente come sono io. I colori caldi della cappella mi ricordano il tufo.
Ti sei tagliata con la carta o con i cardi?

Con i cardi e con l’ago.

Con questa mostra, Marilena ci invita a osservare non solo le opere, ma anche il dialogo tra lo spazio e la sua pratica, tra memoria storica e nuova vita artistica. Un ritorno che rivela la delicatezza del suo fare, in contrasto con il potenziale generativo e dirompente dell’incontro tra l’artista e la Cappella Pilotti, segnando il primo di molti incontri a venire.
Miral Rivalta
exibart prize N5
ideato e organizzato da exibartlab srl,
Via Placido Zurla 49b, 00176 Roma - Italy
 
web design and development by Infmedia

Sending

Log in with your credentials

or    

Forgot your details?

Create Account

Discover the latest news every day
in the world of art, cinema,
fashion, and culture.
Enter your email and press subscribe.