Piede I e Piede II

opera
Piede I e Piede II
Piede I e Piede II
categoria Scultura
soggetto Natura, Figura umana, Architettura
tags terra cruda, scultura in ferro, Piedi
base 250 cm
altezza 300 cm
profondità 180 cm
anno 2006
Elementi di una serie di 4 Piedi progettati per la "Brescia Art Marathon" (uno ogni dieci chilometri) di cui tre realizzati in terra cruda con l'aiuto di venti giovani architetti e scultori (uno è conservato nel Giardino Museale della Fondazione Peano di Cuneo) e la struttura in ferro del quarto Piede (diventato scultura autonoma col titolo "A Piedi in Città") è collocata sul tetto della Civica Pinacoteca d'arte contemporanea "Antonio Sapone" di Gaeta.
Sul blog "La Poesia e lo spirito" ho ricordato la loro avventurosa storia in questi due articoli:

!) Piedi 1: i piedi di terra

Cinquemila euro! Un bel gruzzoletto! Il cospicuo premio promesso per quel progetto mandato in extremis alla “Brescia Art Marathon” mi sembrò caduto dal cielo. In compenso però dovevo in pochi giorni organizzare, secondo quanto avevo proposto, la costruzione di quattro giganteschi piedi alti tre metri. Un’installazione provvisoria, giusto per il tempo della maratona del 30 aprile 2006. Così parve all’inizio. Poi però quando andai a parlare con loro, questi organizzatori bresciani esternarono le loro esigenze, non volevano qualcosa di troppo e- mero come la cartapesta, ad esempio, e mi lasciai allettare molto facilmente quando mi fecero balenare la possibilità, anzi la probabilità, divenuta presto quasi-sicurezza, di un ricollocamento delle sculture (ora dovevano essere “sculture”!) in un parco della città. A patto però che fossero trasportabili, naturalmente, cosa non facile viste le dimensioni richieste...
Il concetto, la scelta di esporre i quattro grandi Piedi anzi punte di piedi rivolte all’insù prendendo a modello dei piedi un po’ cicciottelli di bambino era stato ispirato al tema dato “Umanità in cammino” che rigirai come “Il cammino dell’umanità” e giusticai così la mia idea:

Samuel Beckett narra la storia di un sarto che deve cucire un pantalone per un suo cliente. Il cliente ha fretta e dopo ripetuti e inutili solleciti sbotta: “anche Dio per creare il mondo ci ha messo meno tempo, ci ha messo soltanto una settimana!” “Eh sì, gli risponde allora il sarto, ma guardi com’è il mondo, e guardi invece il mio pantalone!”
Umanità in cammino, certo, ne abbiamo fatti di passi in avanti, ma guardandoci attorno quante cose ci portiamo ancora dietro dall’età della clava!
Così vuole essere il nostro progetto: in cammino ma ancora tremendamente in contatto con la terra, come se non ne fosse mai del tutto uscito. La terra che, ritualmente, secondo le più diverse cosmogonie, genera l’uomo. Solo giganteschi piedi, anzi, punte di piedi che si ergono a distanze cadenzate formano con la loro ostinata ri- petizione un leitmotiv e scandiscono l’eterna marcia. Ma sarà poi eterna? Come grandi ma fragili menhir la terra cruda, (che non è poi così fragile e si usa anche in architettura) sembra suggerirci la finitezza di tutte le cose.
Vorremmo dunque costruire quattro installazioni lungo il percorso della Maratona, una ogni 10 km. Queste sculture alte circa tre metri si costruiscono sul posto con la tecnica tradizionale della “terra cruda”. È un lavoro che si fa in gruppo, anche coinvolgendo gruppi di giovani locali.
In realtà ci misi un po’ a decidere di farli in terra cruda, materiale che avevo sperimentato una sola volta nel 2001 quando avevo invitato degli amici di mio fratello Olaf alla Casa degli Artisti e questi (Andrea Facchi, Barbara Narici e il gruppo di Geologika) avevano organizzato sotto la pergola di glicine un happening chiamato “Adam” impastando terra e paglia coi piedi nudi e con la musica a palla.
L’alternativa alla terra cruda sarebbe potuta essere il cemento ma si sarebbe dovuto costruirli prima e che differenza! E poi che bello sperimentare e fare cose dicili! Mi lasciai quindi ancora convincere questa volta da Olaf e dai suoi amici. A chi mi avrebbe aiutato in quella avventura promisi un rimborso spese del viaggio, vitto e alloggio per i quattro giorni della costruzione a Brescia, un video e i loro nomi citati se le sculture fossero state, come promesso, esposte al pubblico.
impastare con i piedi terra e paglia
Dal video girato possiamo rivedere le varie fasi della costruzione: prima la sagomatura e saldatura delle strutture in ferro portanti e il loro trasporto a due a due sul camioncino del fabbro (che è diventato un amico), poi l’im- pasto della terra e la modellazione nelle quattro epiche giornate col capriccioso tempo primaverile nel bresciano in cui dovemmo continuamente coprire e scoprire le nostre sculture con grandi teli di plastica perché non si sciogliessero letteralmente, e infinite sorprese che ci sono capitate così ben narrate da Giulia Niccolai nel suo divertito commento al video:
“COSTRUISCI, DEMOLISCI, RICOSTRUISCI: PIEDI”
Questo titolo che suona come un imperativo biblico, ci scaraventa addosso millenni di fatiche e di stanchezza che ci portiamo sulle spalle (chi più, chi meno) mentre, come sostiene Kika Bohr nel comunicato che accompagna il video, i “Piedi” simboleggiano l’umanità in cammino, e dunque anche ognuno di noi che, in un modo o nell’altro, fa i suoi passi avanti, fa i suoi passi qua e là – diciamo – dove si trova, nel tempo che gli è concesso di campare sulla terra.
Sempre secondo la Bibbia, questo tempo che ci è dato sarà un tempo di sudore e di dolore, così, giustamente, anche il video lo conferma in una trentina di minuti densi densi di bee, contrattempi, malintesi, difficoltà e pioggia battente. Ciò che più sorprende e affascina di questa opera è che i venti partecipanti** lavorando sodo, sembrano prosperare e divertirsi sempre più man mano che le difficoltà si presentano. Come se, molto saggiamente, le dessero per scontate, e si trovassero tutti lì riuniti e impegnati, non tanto a costruire piedi giganteschi, quanto piuttosto a sperimentare le varie sde che l’impegno tacitamente comporta. Non a caso, uno di loro, Andrea Facchi battezzò “Cantiere in-festato” il loro posto di lavoro, con espliciti rimandi alla festa, all’allegria e alle trasgressioni.
Il progetto scultoreo di grandi installazioni [...]che spuntano dal terreno verticalmente dalla caviglia in su no alle cinque dita comprese (mentre il tallone rimane invisibile perché ancora inlato nella terra). Si tratta dunque di piedi sempre sul punto di sprofondare nuovamente, perdendo la forma, dissolvendosi come anonima terra nella terra, fango nel fango o “polvere nella polvere”.
Il video ci mostra la costruzione di tre dei quattro piedi e la loro installazione – un piede ogni 10 km. – sul per- corso della Maratona di Brescia (il quarto piede non venne costruito a causa della pioggia) (Va comunque detto che il numero perfetto è “3” e non “4”!).
Le prime immagini ci mostrano le quattro strutture ferree dei piedi in viaggio su un camioncino scoperto da Milano a Brescia su quell’incubo di autostrada troppo tracata, ma la sagoma delle cinque dita ben scalate attraverso le quali si vede l’azzurro del cielo, trasmette l’allegria di un saluto fraterno a tutta l’umanità.
In Via Case Sparse alla periferia di Brescia si installa il cantiere con belle ragazze che impastano terra cruda coi piedi (ovviamente!) e proprio come un tempo si pigiava l’uva per fare il vino. Un ragazzo del gruppo, Fran- co Lando trasmette musica per infondere energia nei compagni. Quando comincia a passare il grosso della maratona sceglie Bandiera rossa e l’Internazionale che creano uno spiazzamento grottesco e surreale con i maratoneti in calzoncini bianchi. Ricordiamo che siamo a Brescia... e se un paio di partecipanti salutano col pugno chiuso, la mattina seguente il piede lo si ritrova vandalizzato. Chi semina vento...Ma all’ora di pranzo (pizza fredda in piedi sul posto) i nostri amici vengono aiutati dai ragazzini del quartiere che fraternizzano.
In un secondo cantiere in Piazza Arnaldo a Brescia città, primi piani dell’impasto di fango e paglia che viene lavorato nelle mani come una grossa polpetta o una piadina, e poi sbattuto con forza nel gesto “torta in faccia” sulla rete metallica tesa tra le strutture di ferro del piede. Anche questo passaggio lo spettatore lo vive come felicemente liberatorio, mentre la macchina da presa punta ogni tanto il cane simpatico di uno dei partecipanti che scorazza libero come un punto-interrogativo-in-cerca-di-risposta qua e là attorno al cantiere. Anche il secondo piede prende forma: gigantesca e straordinariamente realistica. Un piede grande come una stanza con un’apertura/porta sulla pianta così che un lavorante ci possa entrare dentro e fare in modo che fango e paglia aderiscano meglio alla rete portante della scultura.
Gioco di parole e pennellata definitiva: “modellazione nale delle dita dei piedi a più mani”.
Mi rendo conto di non descrivere i vari passaggi del video nell’ordine in cui sono avvenuti perché non lo sto rivedendo mentre ne scrivo. Ma non credo che questa sfasatura sia particolarmente grave: mi era stato chiesto di raccontare certe mie impressioni e lo sto facendo con il piacere e il divertimento che le immagini mi aveva- no procurato inizialmente vedendole, e questa è forse la cosa più importante. Per onestà devo però aggiungere che tra me e i venti parteciparti ci sono almeno venti anni – se non più – di differenza, e proprio questa dovrebbe essere la vera causa della sfasatura tra il mio modo di reagire al video e l’atteggiamento che avevano i venti ragazzi mentre venivano ripresi durante il lavoro.
Comunque sia, i guai non sono ancora terminati. Quanto a quell’ “eventualmente permanenti” delle installa- zioni costruite dagli artisti, pochi giorni dopo la maratona, cioè il 14 giugno, un camion dell’azienda municipale carica il Piede con un “ragno” e lo scarica al deposito rifiuti. Verrà classificato come “Rifiuti misti da attività di costruzione e demolizione”.
La documentazione dell’epilogo del secondo Piede l’abbiamo da una telefonata registrata nella quale Kika Bohr chiede informazioni del piede scomparso e viene informata che il Comune “ne ha chiesto la smaltita”. Cos’è che si “smaltisce”? Beh, si smaltiscono le cose di troppo: la spazzatura e le sbronze.
Per finire, il terzo Piede viene salvato malgrado una serie di vicissitudini. Un primo trasporto da Piazza Arnaldo, il 22 giugno, lo deposita a Ponte Lambro dove verrà restaurato e impermeabilizzato. Ma per farlo passare sotto una sbarra di ferro del deposito, il fabbro dovrà lavorare di brutto con la fiamma ossidrica.
Il 31 agosto il Piede compie la sua ultima corsa fino a Cuneo, dove ora gode di un meritato riposo nel giardino museale della Fondazione Peano che l’ha voluto per sé.
(Giulia Niccolai)
Beh, Giulia Niccolai racconta fin troppo bene la gioia del gruppo nel fare le cose insieme, sguazzare come bambini nel fango con quella musica techno incalzante-assordante – fino alla provocazione finale del “Bandiera rossa” nella città in cui c’era una giunta leghista – le litigate naturali che si placavano e riuscivano a trasformarsi in esultanza quando si vedeva un piedone finito, la sensualità della modellazione dell’argilla e il gioco di entrare all’interno del Piede per consolidare l’opera da ogni parte incrociando il lavoro con chi operava dall’esterno. E infine le sorti diverse toccate ai quattro Piedi che già dalla struttura erano leggermente diversi. Due Piedi demoliti per ordine del Comune di cui uno a mie spese per non dover incorrere in multe pazzesche! Tutto il nostro lavoro festoso e pieno di entusiasmo... Ma un Piede in terra è stato salvato, restaurato e depositato per un paio di mesi proprio presso il fabbro Parisi.
Roberto Peano, il fondatore della Fondazione Peano di Cuneo che ha un bel giardino museale pieno di sculture, lo ha voluto e ha trovato anche uno sponsor per farlo trasportare con un enorme camion-gru, perché pesava più di ottocento chili. Già, perché i cinquemila euro del premio si erano ormai volatilizzati. Alcuni anni dopo la struttura in ferro che non avevamo potuto ricoprire di terra ha avuto una storia a sé che racconterò prossimamente

**Partecipanti al progetto: Andrea Facchi, Massimo Abbiati, Tommaso Bagnato, Olaf Andre Bohr, Riccardo Batta- glia, Laura Cristin, Giulia Frailich, Ilenia Gallia, Franco Lando, Bruna Magistrà, Mario Marche, Elisabeth Minne, Michelle Menin, Santo Nicoletti, Paola Pappacena, Gennaro Parisi, Daniela Sacco, Annamaria Scotti, Fabio Valentini, Vito de Vita

(Questo articolo è stato pubblicato in Arte, Kika Bohr e taggato come Andrea Facchi, arte contemporanea, brescia, Cuneo, Fondazione Peano, Giulia Niccolai, Kika Bohr, terra cruda il 26/04/2020 [https://lapoesiaelospirito.- wordpress.com/2020/04/26/piedi-1-i-piedi-di-terra/] da kikabohr)


2)


Piedi 2: A piedi in città

di Kika Bohr

Dalla struttura alla scultura

Il mio studio in viale Jenner ha per tre quarti un soppalco in cemento armato che lo divide esattamente in due. L’entrata invece ha più di quattro metri d’altezza. Per un anno intero vi ho ospitato un enorme piede in tondino e tubi di ferro che era collocato lì proprio davanti alla porta, sicché per entrare ci passavo attraverso. Quel piede l’avevo disegnato alcuni anni prima ed era stato realizzato dal fabbro Parisi e dal suo aiutante trasponendo il modellino in scala 1:10.
Ogni pomeriggio, con uno scooter elettrico dei primi modelli che aveva un’autonomia di quaranta chilometri, andavo a Ponte Lambro, che è vicino all’aeroporto di Linate, dove questo Gennaro Parisi aveva una bella officina vicino al fiume in un non luogo bellissimo tra capannoni di lamiera e campi ancora coltivati e lì, dopo aver messo in carica lo scooter, abbiamo costruito quattro grandi strutture. Misuravamo, tagliavamo e piegavamo tondini secondo delle sagome di carta da pacchi che avevo disegnato e ritagliato a misura. Dancio (Iordan Neicev), l’aiutante bulgaro, saldava tutto.
Lui era un colosso di poche parole, molto preciso e intelligente nel suo modo di lavorare. Le strutture dovevano essere resistenti per poter sorreggere anche mille chili di terra (avevamo previsto di ricoprirle di terra cruda) e perciò il disegno del piede era stato fatto basandosi sulle figure dell’arco e del triangolo, tra l’altro come il piede vero, e come notava Leonardo da Vinci quando diceva “il piede, un capolavoro di ingegneria e
un’opera d’arte”, perché effettivamente i piedi devono poter sorreggere tutto il peso del nostro corpo e sono basati su forme ad arco e a triangolo. I tondini erano di due dimensioni e per la struttura principale – cioè la base su cui erano saldate le dita – formata da un arco più un triangolo, abbiamo usato dei tubi che sono ancora più resistenti. E abbiamo dotato il piede di un bel pollicione! L’alluce, secondo Georges Bataille caratterizza l’essere umano rispetto alla scimmia antropoide e ha un’importanza fondamentale nella nostra posizione eretta. (Non sto qui a raccontare tutte le idee provocatorie di Bataille sui piedi, a volte però molto pertinenti, come quella che dice che, in genere l’umanità disprezza i piedi perché sono ancora vicini al fango mentre il sogno umano è di elevarsi verso l’alto...)
Avanti e indietro sull'autostrada
Alla fine della Maratona di Brescia (vedi storia del Piede 1) ero un po’ triste di non aver potuto costruire uno dei quattro piedi previsti, a causa del cattivo tempo che aveva molto ritardato i nostri lavori. In quegli anni non avevo ancora la patente B e Roberto, che con pazienza maritale mi aveva supportata nell’impresa e aveva guidato avanti e indietro sulla trafficatissima autostrada Milano-Brescia un camioncino – prestato dal fabbro – trasportando a due a due le quattro gigantesche strutture, beh, Roberto mi aveva appena chiesto la separazione! Sono riuscita a convincerlo di guidare per un’ultima volta quel camioncino per recuperare quella bella struttura fatta con tanto impegno e lui ha accettato. Siamo andati lì insieme, come due vecchi fratelli. Cosa ne avrei fatto di quella struttura? Non ne avevo la minima idea, ma più la guardavo e più mi pareva bella nella essenzialità del suo disegno. L’abbiamo deposta a Ponte Lambro dall’amico fabbro.
Ancora dal fabbro
Per circa un anno ogni volta che andavo dal fabbro vedevo il Piede nel prato un po’ selvaggio vicino all’ocina. Poi, avendo bisogno di spazio, Gennaro mi ha chiesto se poteva spostarlo e l’idea era di metterlo sul tetto del suo capannone. Perché no? Non era troppo pesante e con Dancio l’hanno issato lì in cima. Che visione! Sembrava che camminasse nel cielo. La sagoma si vedeva incredibilmente bene e tutti i clienti del fabbro alzavano lo sguardo. Io ero molto contenta così. Mi sembrava la collocazione ideale e pensavo già ad altre sculture, quello mi sembrava il destino di questo Piede che ora pareva un disegno fatto nell’aria, con sfondo cangiante di cieli milanesi solcati da nubi, colonne di fumo e aerei.
Nel mio studio
Dopo l’esondazione del fiume Seveso e la conseguente modifica del piano regolatore del comune di Ponte Lambro, Gennaro Parisi ha dovuto spostarsi verso Cremona e la nuova officina non permetteva una simile collocazione del Piede. Che fortuna poterlo mettere nello studio di via Jenner, che avevo affittato da poco. Mi divertiva molto attraversarlo ogni volta che entravo. Però per vederlo bene mancava la distanza e in cuor mio avevo anche voglia che qualcuno lo potesse guardare.
Alla Biblioteca del Parco Sempione
L’occasione è arrivata quando sono stata invitata a esporre qualcosa al Parco Sempione. Ornella Piluso aveva organizzato una mostra in varie biblioteche di Milano e quella del Parco ha la caratteristica di avere uno spazio all’aperto con dei tavolini per poter studiare. E’ proprio lì che ho potuto portare il Piede e ho pensato di intitolare questa struttura ormai autonoma scultura: “A piedi in città”. In quel meraviglioso ambiente verde, fusione di cultura e natura, l’andare a piedi era la cosa che pareva più adatta. Però per trasportare il Piede come fare? Non avevo più Roberto, il fabbro era ormai lontano... finalmente ho trovato il Giulio, un anziano rottamatt (robivecchi) dalla parlata toscana che per una modica somma
ha trasportato sul suo Ape la scultura, l’autrice e il suo cane da via Jenner al Parco Sempione. Immaginate la grande struttura nera a forma di Piede alta 3 metri sul piccolo Ape: sembrava un uovo di Pasqua! Ai bibliotecari il Piede era piaciuto molto e hanno voluto essere fotografati davanti ad esso. Dalle foto però mi sono accorta di come in realtà fosse più visibile e anche più poetico/spirituale sulla semplice tettoia del fabbro perché stagliato sul cielo rispetto al pur bellissimo sfondo rigoglioso del verde Parco Sempione, in cui si mimetizzava fin troppo.
A Gaeta
Da un paio d’anni frequentavo la Pinacoteca Comunale di Arte Contemporanea di Gaeta. Avevo partecipato alla prima e alla seconda mostra di Ambientarte, rassegna a cui erano invitati artisti che utilizzavano per le loro opere materiale di riciclo. Avevo anche partecipato a un Porticato Gaetano, una mostra annuale a cui intervengono soprattutto artisti del luogo, ma mi sono presto sentita adottata dagli organizzatori e da altri partecipanti. Così ho osato proporre la donazione di “A piedi in città” portando loro alcune foto dell’opera sia nella Biblioteca del Parco sia sul tetto del fabbro. Il presidente Antonio Lieto e la direzione artistica dell’Associazione Culturale Novecento sono subito parsi interessati ma anche preoccupati per il trasporto, per le spese e la modalità. Sul lungo tratto dell’Autostrada del Sole e altre strade da percorrere non si poteva certo usare un camioncino scoperto come sulla Milano-Brescia, ancor meno un Ape! Alla fine si è trovato uno sponsor che aveva un abbonamento con il trasportatore Bartolini. Però la scultura andava imballata. Così l’ho rivestita tutta di pezzi di cartone recuperati nel supermercato vicino. Sembrava un’opera Pop tutta colorata quando è arrivato l’enorme camion rosso che quasi non riusciva più a uscire dal cortile di via Jenner. Antonio Lieto quando ha visto arrivare quel “piede” massiccio in cartone colorato, così diverso dal disegno lineare che aspettava è rimasto un po’ stupito. Dopo un lungo lavoro di spogliazione però mi ha telefonato contento e con il loro aiutante rumeno Viorel della stessa stazza di Dancio, lo hanno collocato su un terrazzo in cima a Palazzo S. Giacomo, la sede della Pinacoteca. Col vento del mare e dei monti Aurunci il cielo che fa da sfondo al “A Piedi in Città” è sicuramente più vario di quello di Milano e di notte il piede illuminato risponde ai riflessi delle stelle.

( Questo articolo è stato pubblicato in Arte, Kika Bohr, Scritture e taggato come Antonio Lieto, arte contempora- nea, Gaeta, Pinacoteca Comunale di Gaeta il 30/05/2020 [https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2020/05/30/piedi-2-a-piedi-in-citta/] da kikabohr)
artista
Kika Bohr
Artista, Milano
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