opera
I Miss You, Karl
categoria | Disegno |
soggetto | Astratto, Bellezza |
tags | imissyou |
base | 30 cm |
altezza | 30 cm |
profondità | 3 cm |
anno | 2020 |
Tutto nasce da un incontro, dall'intrecciarsi di una relazione "vissuta", "empatica", "avvolgente". Una relazione che Pengpeng ha con Karl Parizeau e di cui non rimane che un intenso, seppur labile ricordo, (anche se maledettamente ricorrente), tanto da far sospirare "Mi manchi!"
Paradossalmente però questo ricordo ha qualcosa di impersonale, ovvero lascia spazio all'evanescenza di una sensazione che come una seconda pelle muta al mutare delle situazioni...i ricordi , le sensazioni sono ciò che rimane di un'opera d'arte, infatti sarà quest'ultima a "conservarle" anche dopo la morte di chi le ha provate. Deleuze le definisce ESSERI poiché ritiene che le sensazioni, alla stregua di eventi incorporei, investono l'uomo offrendogli la possibilità di una identità frammentata la cui unica soluzione di salvezza è offerta dalla e nella differenza. Quest' ultima è parte costitutiva di ciascuno di noi, la nostra presunta identità è in realtà prigioniera di un continuo divenire dove campi di intensità agiscono sul nostro corpo, rendendoci, in taluni casi, estranei a noi stessi.
Le opere di Pengpeng sono tutto questo, soggiacciono alla logica della differenza poiché dietro l'apparente ordine delle strisce di seta si nasconde un brulichio di sensazioni che noi percepiamo attraverso la luce, i colori, le trasparenze, i riflessi. Domandiamoci piuttosto se è grazie all'intrecciarsi di queste strisce che siamo presi, letteralmente, dall'esigenza di partecipare emotivamente allo spettacolo della percezione. In effetti le opere di Pengpeng, "I miss you", sono decisamente aptiche, nella misura in cui richiedono una partecipazione attiva del nostro corpo attraverso tutti i sensi: ovvero è attraverso lo sguardo che il nostro corpo (inteso deleuzianamente come "corpo senza organi") vibra al vibrare della seta usata dall'artista.
Ponetevi davanti ad un'opera di Pengpeng, toccate la sua superficie, spostatevi cambiando punto di vista oppure rimanete, imperterriti, a fissare un punto fisso e sarete investiti da una visione/sensazione quasi diafana, evanescente, anche se materialmente presente, nell'attesa di entrare a far parte di un'altra dimensione. Tutto questo in una chiara ostentazione minimale, dove equilibrio e semplicità vengono resi attraverso il calibrato gioco di strisce di seta.
Il valore che Pengpeng attribuisce alla seta ha naturalmente un retaggio culturale, è ovviamente attribuibile alla sua provenienza orientale, ma questa "via della seta" qui si fa, come già accennato, vissuta, scambio multiforme di esistenze, richiamo accorato di esperienze passate e presenti. Ho avuto modo di dire altrove come l'arte, ed in particolare l'arte contemporanea, sia protesa verso l'apparire di ciò che è irrappresentabile. Seguendo la via tracciata da Kant sembrerebbe che un'opera aneli a superare il limite fisico del suo essere cosa, oggetto, ponendo però una condizione, quella cioè di essere incapace di superare tale limite. Ma, a ben guardare, è proprio questo limite, come ci racconta il filosofo Lyotard, a spingere un'artista a sperimentare tecniche e soluzioni formali oltre l'inverosimile. Allo stesso modo Pengpeng, con la serie "I miss you", compie un vero e proprio elogio dell'apparenza, un'apparenza che non si mostra vuota e priva di significato ma protesa verso una riabilitazione della "superficie" delle cose. Non a caso le sue intenzioni si palesano attraverso l'ennesima ricerca di un materiale (come la seta) che possa in qualche modo mostrare semplicemente il suo potere evocativo: ancora una volta l'invito è di lasciarsi andare per essere traghettati in una dimensione subliminare. Freudianamente parlando è in queste opere di Pengpeng che, di fatto, risalgono in superficie quei conflitti tipici della sublimazione in cui il contrasto tra l'apparire e il sentire, tra desiderio e accettazione sociale, trovano una zona franca, uno spazio di adattamento e di reciproca condivisione.
Paradossalmente però questo ricordo ha qualcosa di impersonale, ovvero lascia spazio all'evanescenza di una sensazione che come una seconda pelle muta al mutare delle situazioni...i ricordi , le sensazioni sono ciò che rimane di un'opera d'arte, infatti sarà quest'ultima a "conservarle" anche dopo la morte di chi le ha provate. Deleuze le definisce ESSERI poiché ritiene che le sensazioni, alla stregua di eventi incorporei, investono l'uomo offrendogli la possibilità di una identità frammentata la cui unica soluzione di salvezza è offerta dalla e nella differenza. Quest' ultima è parte costitutiva di ciascuno di noi, la nostra presunta identità è in realtà prigioniera di un continuo divenire dove campi di intensità agiscono sul nostro corpo, rendendoci, in taluni casi, estranei a noi stessi.
Le opere di Pengpeng sono tutto questo, soggiacciono alla logica della differenza poiché dietro l'apparente ordine delle strisce di seta si nasconde un brulichio di sensazioni che noi percepiamo attraverso la luce, i colori, le trasparenze, i riflessi. Domandiamoci piuttosto se è grazie all'intrecciarsi di queste strisce che siamo presi, letteralmente, dall'esigenza di partecipare emotivamente allo spettacolo della percezione. In effetti le opere di Pengpeng, "I miss you", sono decisamente aptiche, nella misura in cui richiedono una partecipazione attiva del nostro corpo attraverso tutti i sensi: ovvero è attraverso lo sguardo che il nostro corpo (inteso deleuzianamente come "corpo senza organi") vibra al vibrare della seta usata dall'artista.
Ponetevi davanti ad un'opera di Pengpeng, toccate la sua superficie, spostatevi cambiando punto di vista oppure rimanete, imperterriti, a fissare un punto fisso e sarete investiti da una visione/sensazione quasi diafana, evanescente, anche se materialmente presente, nell'attesa di entrare a far parte di un'altra dimensione. Tutto questo in una chiara ostentazione minimale, dove equilibrio e semplicità vengono resi attraverso il calibrato gioco di strisce di seta.
Il valore che Pengpeng attribuisce alla seta ha naturalmente un retaggio culturale, è ovviamente attribuibile alla sua provenienza orientale, ma questa "via della seta" qui si fa, come già accennato, vissuta, scambio multiforme di esistenze, richiamo accorato di esperienze passate e presenti. Ho avuto modo di dire altrove come l'arte, ed in particolare l'arte contemporanea, sia protesa verso l'apparire di ciò che è irrappresentabile. Seguendo la via tracciata da Kant sembrerebbe che un'opera aneli a superare il limite fisico del suo essere cosa, oggetto, ponendo però una condizione, quella cioè di essere incapace di superare tale limite. Ma, a ben guardare, è proprio questo limite, come ci racconta il filosofo Lyotard, a spingere un'artista a sperimentare tecniche e soluzioni formali oltre l'inverosimile. Allo stesso modo Pengpeng, con la serie "I miss you", compie un vero e proprio elogio dell'apparenza, un'apparenza che non si mostra vuota e priva di significato ma protesa verso una riabilitazione della "superficie" delle cose. Non a caso le sue intenzioni si palesano attraverso l'ennesima ricerca di un materiale (come la seta) che possa in qualche modo mostrare semplicemente il suo potere evocativo: ancora una volta l'invito è di lasciarsi andare per essere traghettati in una dimensione subliminare. Freudianamente parlando è in queste opere di Pengpeng che, di fatto, risalgono in superficie quei conflitti tipici della sublimazione in cui il contrasto tra l'apparire e il sentire, tra desiderio e accettazione sociale, trovano una zona franca, uno spazio di adattamento e di reciproca condivisione.