opera
Ipotesi Di Ri(de)costruzione – Senza Titolo
categoria | Installazione |
soggetto | Politico/Sociale, Astratto |
tags | #painting #installation #conceptualart |
base | 137 cm |
altezza | 90 cm |
profondità | 0 cm |
anno | 2022 |
L’intervento costituisce un punto d’approdo, oltre che di partenza al tempo stesso, conseguente all’ esaurirsi ed al progressivo ri-configurarsi del ciclo dei Papers, o Pagine Di Cenere. Questa precedente serie di lavori si presenta come tentativo di condurre a riconciliazione (volgendo al recupero) un frammento di memoria individuale e privata rispetto ad un’eredità condivisa, estensione di un’identità collettiva sempre più lacerata.
Tutto il processo finalizzato alla conservazione sopra indicato si mantiene costante grazie al persistere di una divisione tra pubblico e privato, sotto forma di squarcio attraverso cui sia possibile veder coesistere le due dimensioni.
Nel momento in cui il varco che si apre tra passato e presente - tra io e noi - è indagato ed attraversato da quella pratica di scavo che l’intervento artistico tenta in questo caso di attuare, tale sovrastruttura viene meno, portando i due piani a confondersi.
Sulla pellicola plastica, che si rifà ai concetti di specchio e di negativo fotografico (in quanto superficie ospitante il rovesciamento di un’immagine, a partire da cui la stessa può tuttavia essere riprodotta in qualsiasi momento), si depositano residui di origine eterogenea: ad un passato familiare, sempre più tendente a scomparire, vengono sovrapposti ritagli di foto reportage che documentano situazioni marginali, ma cogenti a livello sociale.
In questo primo frammento componente la serie una fotografia in cui l’artista ad un anno di età è seduto sulle spalle del padre durante un’escursione tende alla dispersione, lasciando progressivamente spazio all’emergere d’uno scatto del 2013 in cui un bambino Siriano della stessa età attraversa, dando la mano alla madre e calciando una palla, il suo villaggio distrutto da un bombardamento.
Il ricordo individuale viene riabilitato soltanto in quanto traccia in grado di denotare la rilevanza di un immaginario ancor più prossimo alla rimozione, ma che proprio nel suo carattere decostruito presenta un’opportunità di ridefinizione concreta e in dialogo con l’oggi (nei piedi del bambino che toccano terra, avanzando nonostante tutto, o nello sguardo della madre rivolto oltre, a ciò che è altro da sé).
Ciò che prima si riteneva frammentato si traduce in matrice che si pone su un piano di invisibilità, a partire dalla quale indirizzare l’attenzione verso contesti a cui ci sarebbe realmente necessità di guardare, abbandonando le indifferenze, come ipotesi per una ricostruzione a partire dalle macerie.
Tutto il processo finalizzato alla conservazione sopra indicato si mantiene costante grazie al persistere di una divisione tra pubblico e privato, sotto forma di squarcio attraverso cui sia possibile veder coesistere le due dimensioni.
Nel momento in cui il varco che si apre tra passato e presente - tra io e noi - è indagato ed attraversato da quella pratica di scavo che l’intervento artistico tenta in questo caso di attuare, tale sovrastruttura viene meno, portando i due piani a confondersi.
Sulla pellicola plastica, che si rifà ai concetti di specchio e di negativo fotografico (in quanto superficie ospitante il rovesciamento di un’immagine, a partire da cui la stessa può tuttavia essere riprodotta in qualsiasi momento), si depositano residui di origine eterogenea: ad un passato familiare, sempre più tendente a scomparire, vengono sovrapposti ritagli di foto reportage che documentano situazioni marginali, ma cogenti a livello sociale.
In questo primo frammento componente la serie una fotografia in cui l’artista ad un anno di età è seduto sulle spalle del padre durante un’escursione tende alla dispersione, lasciando progressivamente spazio all’emergere d’uno scatto del 2013 in cui un bambino Siriano della stessa età attraversa, dando la mano alla madre e calciando una palla, il suo villaggio distrutto da un bombardamento.
Il ricordo individuale viene riabilitato soltanto in quanto traccia in grado di denotare la rilevanza di un immaginario ancor più prossimo alla rimozione, ma che proprio nel suo carattere decostruito presenta un’opportunità di ridefinizione concreta e in dialogo con l’oggi (nei piedi del bambino che toccano terra, avanzando nonostante tutto, o nello sguardo della madre rivolto oltre, a ciò che è altro da sé).
Ciò che prima si riteneva frammentato si traduce in matrice che si pone su un piano di invisibilità, a partire dalla quale indirizzare l’attenzione verso contesti a cui ci sarebbe realmente necessità di guardare, abbandonando le indifferenze, come ipotesi per una ricostruzione a partire dalle macerie.