Cresciuto con il nonno, ha lavorato fin dall’infanzia nei campi, in un ambiente dove la natura è tutt’altro che generosa, dove la secca avvizzisce anche i cactus e castiga uomini e animali, dove per mesi e mesi si sopravvive con poche gocce di acqua infangata. Il suo sogno era andare al sud e conoscere la madre che era partita in cerca di lavoro quando lui era ancora piccolissimo. Riesce a partire e arrivare a San Paolo quando aveva 15 anni e incontra sua madre che vive con altri figli nella periferia povera della grande metropoli. Uno dei fratellastri, che lavora come parcheggiatore in un quartiere lussuoso di San Paolo lo convince a intraprendere lo stesso lavoro. Durante il periodo da parcheggiatore nella via Oscar Freire, un artista che lavora da 30 anni in quella strada si accorge di lui.
Si tratta di Tonico Mendonça, che lo vede e lo invita a lavorare da lui nella sua bottega di cornici. Branco inizia cosi il suo primo contatto con le tele. Nei momenti di poco lavoro vuole tornare in strada ma Tonico con intuito lo trattiene tra i pennelli.
Tonico ha da subito notato un piacere immenso del ragazzo quando dipinge, la sua agilità col pennello denota una voglia irrefrenabile di esprimersi attraverso immagini, disegni e simboli. Una sorta di calligrafia personale e unica.
La dimora di Tonico diventa presto anche la sua e nello stesso spazio tra bottega e casa, un angolo con un vecchio tavolo diviene il suo atelier. Era il 2009 quando Branco dipinge la prima tela.
Branco non aveva mai avuto fino a quel momento nessun tipo di esperienza creativa. In questo senso, continua ad essere un talento allo stato grezzo, vive e crea i sui quadri artisticamente isolato da ciò che accade nel mondo dell’arte. Da questo contesto proviene il carattere particolarmente individuale del suo lavoro, talmente unico che resta difficile attribuirgli una classificazione.
Non può essere definito un artista popolare cioè quegli artisti che operano nel settore dell’artigianalità le cui opere, sempre figurative, sono legate ad aspetti della realtà esterna in cui vivono. L’unica realtà riscontrabile nelle tele di Branco è interna, è del suo universo mentale, che si manifesta sopratutto attraverso figure inventate, forme astratte, grafismi, immagini di sapore archetipo, simili a quelle nelle caverne delle popolazioni preistoriche. Se è vero che le sue primissime tele avevano qualcosa di infantile, di una fantasia colorata, salta agli occhi che successivamente si è incammina verso un’ invenzione disordinata, per niente misurata, a volte tremula, eccessiva e a volte drammatica, decisamente lontana dalla delicata bellezza degli ingenui.
L’unico titolo che riusciamo a dargli è di artista spontaneo, un termine che definisce un modo di essere e la relazione che mantiene con le sue creazioni. Non si riesce ad ottenere nessuna spiegazione da lui sulle origini e il significato della sua iconografia, non sa cosa dire, non riesce a convertire a parole nessun aspetto di un’esperienza di una vita unica e misteriosa. La sua è una vera e propria maniera di comunicare, la comunicazione che legge e scrive attraverso immagini e simboli spontanei.
È proprio lui a dire che i suoi dipinti nascono da un movimento della mano, o meglio da un pennello che spontaneamente scorre sulla tela, come quando uno di noi spontaneamente scrive un testo, senza pensare se non agli spazi e al colore della penna usata. I suoi disegni sono una sorta di alfabeto iconografico spontaneo e decifrabile soltanto dalle persone più sensibili che intravedono nelle immagini qualcosa che non ha pretese, che non ha bisogno di sforzi per essere capito, che trascende il reale per situarsi nell’ inconscio di ognuno di noi.
Si tratta di Tonico Mendonça, che lo vede e lo invita a lavorare da lui nella sua bottega di cornici. Branco inizia cosi il suo primo contatto con le tele. Nei momenti di poco lavoro vuole tornare in strada ma Tonico con intuito lo trattiene tra i pennelli.
Tonico ha da subito notato un piacere immenso del ragazzo quando dipinge, la sua agilità col pennello denota una voglia irrefrenabile di esprimersi attraverso immagini, disegni e simboli. Una sorta di calligrafia personale e unica.
La dimora di Tonico diventa presto anche la sua e nello stesso spazio tra bottega e casa, un angolo con un vecchio tavolo diviene il suo atelier. Era il 2009 quando Branco dipinge la prima tela.
Branco non aveva mai avuto fino a quel momento nessun tipo di esperienza creativa. In questo senso, continua ad essere un talento allo stato grezzo, vive e crea i sui quadri artisticamente isolato da ciò che accade nel mondo dell’arte. Da questo contesto proviene il carattere particolarmente individuale del suo lavoro, talmente unico che resta difficile attribuirgli una classificazione.
Non può essere definito un artista popolare cioè quegli artisti che operano nel settore dell’artigianalità le cui opere, sempre figurative, sono legate ad aspetti della realtà esterna in cui vivono. L’unica realtà riscontrabile nelle tele di Branco è interna, è del suo universo mentale, che si manifesta sopratutto attraverso figure inventate, forme astratte, grafismi, immagini di sapore archetipo, simili a quelle nelle caverne delle popolazioni preistoriche. Se è vero che le sue primissime tele avevano qualcosa di infantile, di una fantasia colorata, salta agli occhi che successivamente si è incammina verso un’ invenzione disordinata, per niente misurata, a volte tremula, eccessiva e a volte drammatica, decisamente lontana dalla delicata bellezza degli ingenui.
L’unico titolo che riusciamo a dargli è di artista spontaneo, un termine che definisce un modo di essere e la relazione che mantiene con le sue creazioni. Non si riesce ad ottenere nessuna spiegazione da lui sulle origini e il significato della sua iconografia, non sa cosa dire, non riesce a convertire a parole nessun aspetto di un’esperienza di una vita unica e misteriosa. La sua è una vera e propria maniera di comunicare, la comunicazione che legge e scrive attraverso immagini e simboli spontanei.
È proprio lui a dire che i suoi dipinti nascono da un movimento della mano, o meglio da un pennello che spontaneamente scorre sulla tela, come quando uno di noi spontaneamente scrive un testo, senza pensare se non agli spazi e al colore della penna usata. I suoi disegni sono una sorta di alfabeto iconografico spontaneo e decifrabile soltanto dalle persone più sensibili che intravedono nelle immagini qualcosa che non ha pretese, che non ha bisogno di sforzi per essere capito, che trascende il reale per situarsi nell’ inconscio di ognuno di noi.