Cristiano Carotti
(Terni, 1981) vive e lavora a Roma.
Muovendosi tra pittura, scultura e installazione indaga le dinamiche sociali attraverso lo studio del potere archetipico del simbolo. A partire dalla realizzazione di opere scultoree in ceramica - medium a lungo privilegiato dall’artista- Carotti recupera la valenza dicotomica tra Homo Naturalis e Homo Mechanicus risolvendola attraverso una pratica che rivolge lo sguardo alla Natura e alla possibilità del ristabilimento di un ruolo attivo con essa da parte dell’Uomo. Nell’approccio sia scultoreo che pittorico, l’artista si pone come un alchimista capace di indagare, con uno sguardo altro, le dinamiche sottese alla perdita di centro implicita negli ecosistemi universali e umani. Il ciclo di opere ceramiche inaugurato dalla presentazione dell’installazione site-specific Cella, nel Battistero di Pietrasanta, si definisce come una riconquista da parte della natura degli spazi che le sono stati sottratti: alveari o nidi crescono naturalmente su manufatti abbandonati creando panorami contrastanti con cui l’uomo possa misurarsi. Per Carotti questa riconquista rappresenta il simbolo dell’uomo che ritrova le energie curative per superare la crisi che lo sta colpendo. La creazione stessa degli alveari in ceramica assume nel lavoro dell’artista un carattere rituale e quasi sciamanico di riavvicinamento con la propria parte inconscia e più recondita. Gli oggetti di partenza sono degli objet trouvé che l’artista scova nei depositi di rottami, simulacri inerti di una vita frenetica vengono coperti così da sculture in ceramica dipinta, modellate su alveari selvatici.
Nelle opere più recenti, il ritorno alla pittura si inserisce in una riflessione di più ampio respiro sulpotere proiettivo della dicotomia Vita-Morte, Eros-Thanatos, in un movimento di ascesa e discesa che riconducono inevitabilmente alla ciclicità della vita e, con essa, delle nostre esistenze, trasposte simbolicamente attraverso l’impiego di animali totemici (la vipera, il cinghiale, l’ariete) immersi in una natura dalle tinte acide, ottenuta sovrapponendo strati pittorici compositi e materici a conferire un’idea di costante progressione e movimento.
(Terni, 1981) vive e lavora a Roma.
Muovendosi tra pittura, scultura e installazione indaga le dinamiche sociali attraverso lo studio del potere archetipico del simbolo. A partire dalla realizzazione di opere scultoree in ceramica - medium a lungo privilegiato dall’artista- Carotti recupera la valenza dicotomica tra Homo Naturalis e Homo Mechanicus risolvendola attraverso una pratica che rivolge lo sguardo alla Natura e alla possibilità del ristabilimento di un ruolo attivo con essa da parte dell’Uomo. Nell’approccio sia scultoreo che pittorico, l’artista si pone come un alchimista capace di indagare, con uno sguardo altro, le dinamiche sottese alla perdita di centro implicita negli ecosistemi universali e umani. Il ciclo di opere ceramiche inaugurato dalla presentazione dell’installazione site-specific Cella, nel Battistero di Pietrasanta, si definisce come una riconquista da parte della natura degli spazi che le sono stati sottratti: alveari o nidi crescono naturalmente su manufatti abbandonati creando panorami contrastanti con cui l’uomo possa misurarsi. Per Carotti questa riconquista rappresenta il simbolo dell’uomo che ritrova le energie curative per superare la crisi che lo sta colpendo. La creazione stessa degli alveari in ceramica assume nel lavoro dell’artista un carattere rituale e quasi sciamanico di riavvicinamento con la propria parte inconscia e più recondita. Gli oggetti di partenza sono degli objet trouvé che l’artista scova nei depositi di rottami, simulacri inerti di una vita frenetica vengono coperti così da sculture in ceramica dipinta, modellate su alveari selvatici.
Nelle opere più recenti, il ritorno alla pittura si inserisce in una riflessione di più ampio respiro sulpotere proiettivo della dicotomia Vita-Morte, Eros-Thanatos, in un movimento di ascesa e discesa che riconducono inevitabilmente alla ciclicità della vita e, con essa, delle nostre esistenze, trasposte simbolicamente attraverso l’impiego di animali totemici (la vipera, il cinghiale, l’ariete) immersi in una natura dalle tinte acide, ottenuta sovrapponendo strati pittorici compositi e materici a conferire un’idea di costante progressione e movimento.