Guido Adaglio

Painter, Sculptor, Artist
Gravere
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Guido Adaglio
Torinese di nascita (1 febbraio 1963), valsusino d’adozione.
Mi sono diplomato al Liceo Artistico di Torino, ma non ho bei ricordi di quel periodo. Gli insegnanti che ho avuto mi hanno fatto perdere quella scintilla che avevo all’iscrizione del liceo, tant’è che sono passato alla sezione di architettura. Unica eccezione Gilberto Zorio, insegnante di materie plastiche che sapeva trasmettere un’eccitazione particolare facendoti amare la materia. Purtroppo la scultura non era allora tra i miei interessi.
Dopo la scuola un po’ di frequentazione della facoltà di architettura, ma ero inquieto. Così inquieto da abbandonarla ben presto per passare a un biennio di grafica pubblicitaria, che diventerà la mia professione dalla metà degli anni ’80.
Nel frattempo ho continuato a dipingere, da autodidatta. Fino a quando il lavoro e la famiglia hanno assorbito (felicemente) anche quel poco tempo che dedicavo alla mia passione.
Ad un certo punto mi sono reso conto che più diventavo grafico (e illustratore), meno mi sentivo manuale. Per cui mi sono iscritto ad un corso di intaglio del legno, in una delle tante scuole presenti qui in Val di Susa: è stato un attimo. E mentre apprendevo la pratica delle sgorbie ho ripreso a dipingere, cambiando completamente quello che era il mio stile precedente: se prima i lavori erano realizzati ad aerografo su tela, con una connotazione vagamente surrealista, ora racconto i miei pensieri attraverso i corpi.
Siamo agli inizi degli anni 2000: meno produzioni ma più sperimentazione. Col tempo passo dall’uso di campiture decisamente materiche (con l’aggiunta di materiali per aumentare questa tridimensionalità, le stesure di colore con pennelli grossolani e spatole occasionali o l’utilizzo delle mani) ad una pennellata più morbida, con il particolare più curato, soprattutto nella prima fase. Anche se poi altro colore va a sporcare il lavoro fatto, arrivando, alcune volte, addirittura a coprirlo. Inizio anche a lavorare con le sculture, i miei alberi. Partecipo a qualche collettiva. Realizzo alcune opere su commissione.
Ad oggi sono passati altri vent’anni da quella ripartenza e continuo la ricerca e la sperimentazione, con la curiosità di provare nuove strade e la felicità di raccontare storie.

Statement
Per me fare arte significa raccontare.
Come quando prima di conoscere l’alfabeto guardiamo le figure, ecco, cosi è la mia pittura: semplice, da osservare anche senza saper leggere. Parla di sogni fatti e di amori traditi, di gioie vere e dolori cupi, di cose successe e cose che potrebbero succedere.
Per raccontare queste emozioni uso i corpi come pagine di un diario da condividere.
Non posso dire di essere ispirato a qualche artista in particolare, ma mi sono sicuramente lasciato contaminare da tutti coloro che hanno rappresentato la figura umana: dalle statue classiche dell’arte greca e romana a Michelangelo e Hayez, fino a Schiele e Modigliani.
La capacità di raccontare un episodio, fermandolo come fosse un fotogramma al culmine dell’evento, ho provato a nutrirla con le opere di Caravaggio: un talento senza eguali.
Uso quasi esclusivamente gli acrilici perché ho bisogno dell’immediatezza che solo una rapida asciugatura può dare.
In questo 2023 inizia un nuovo progetto artistico che mi permette di esplorare nuove strade. Lasciando che il figurativo torni ad essere tale, ciò che nell’opera c’è di astratto, prende un’altra strada, una sua via, intensificandosi, esaltandosi e liberandosi per esprimersi al meglio, anche se reso impuro da contaminazioni vagamente pop. Questo percorso si fonda sul fatto che il caso genera l’arte e l’arte, per contro, genera il caso.
Anche la scultura fa parte del mio essere artista, alimentata dalla mia montagna e dalla natura che vivo ogni giorno in valle. Uso il legno, tronchi già secchi in pianta, per creare i miei Alberi nella serie Amo la natura, a modo mio: un appello ad amare la natura per quello che è, e non come fa più comodo a noi.

In questo momento sono due i progetti che porto avanti, uno per la pittura ed uno per la scultura.

Nel primo caso il progetto è partito nel 2023 ed è così riassunto:

Il caso genera l’arte, l’arte genera il caso
La relazione tra caso e arte è un argomento dibattuto da tempo nel mondo artistico. Molti artisti hanno sfruttato l’elemento casuale come parte del processo creativo. L’utilizzo del caso ha portato a risultati sorprendenti e inaspettati, consentendo la creazione di opere uniche e originali. Pensiamo al dripping di Jackson Pollock che, lasciando spazio all’imprevedibilità hanno creato magnifiche espressioni artistiche.
Ma se il caso fosse il fattore determinante del soggetto di un quadro e non la casualità dell’azione pittorica, cosa succederebbe?
Può quindi l’arte essere generata dal caso? E, se sì, può a sua volta l’arte generare il caso?
Queste sono le domande che hanno fatto decollare il mio nuovo progetto che prevede, passando attraverso tutte le lettere dell’alfabeto, la realizzazione di un dipinto generato da un elemento casuale, anzi due.

L’idea è quella di utilizzare i social per raccogliere parole sulla base dell’iniziale da me proposta e, attraverso un sorteggio casuale, averne due che saranno il fattore determinante per la creazione dell’opera. Questi due termini devono però essere prima analizzati, studiati ed elaborati perché diventino qualcosa che abbia un senso.
Quindi il caso, che è dato da coloro che mi regalano le parole e dall’estrazione che determina le due prescelte, genera effettivamente l’arte, ma l’arte, almeno per quanto mi riguarda non genera il caso, poiché le opere devono avere messaggio da comunicare, una loro storia, un loro perché, che implica un processo di pensiero e selezione.

Quello dela scultura invece, iniziato nel 2013, a cui lavoro solo ogni tanto, si può riassumere così:

Amo la natura, a modo mio
La amo quando è docile, quando è facile amarla.
Ma se c’è da fare qualche sforzo, o meglio se c’è da cambiare, o ancora se devo ridimensionarmi…
Sto con lei, certo, ma è lei che deve piegarsi al mio volere. Non viceversa.
Dopotutto, questo è il tempo in cui si picchia la compagna perché la si ama troppo.
Il titolo non è casuale, la parola amore non è casuale. Come non lo è l’aggettivo determinativo possessivo mio. Amore e forzature vivono insieme in queste opere, si intrecciano come le fibre del legno. C’è una natura che è madre di vita e ci sta lanciando un grido di sopravvivenza che noi ascoltiamo, ma poi non mettiamo in pratica. Perché è scomodo.
Perché in bici ci vado se non piove. Perché la luce la spengo, ma non sempre. Perché i prodotti Bio li prendo, se sono in offerta. E la differenziata la faccio, ma che fatica dividere tutto.
Ecco, amare a modo nostro è semplicemente, umanamente, questo. Sussurrare parole dolci mentre stiamo apparecchiando un futuro amaro.
In queste opere io regalo nuova vita a ciò che non è più vitale. Creando una struttura che non gli appartiene e inserendo corpi estranei, restituisco un elemento naturale che non è più tale.
È modificato a mio piacimento, proprio come il mio amore per lei.
Che poi io la amo davvero la natura. Gli alberi, il legno, le storie silenziose che racconta.
La mia ricerca parte dalla scelta del fusto – o di quel che ne rimane – da cui raccogliere messaggi e pulsioni intime che comunicano la forza naturale di antiche saggezze.
Seguire intrecci clorofilliani, studiare i nodi, ascoltare ciò che anelli di stagioni sanno raccontare, accarezzare la superficie calda, sentire il profumo che l’essenza legnosa regala è solo l’inizio. Poi scomporre e ricomporre, per dare nuova vita a quello che era solo un tronco morto.
Ce la faccio? Forse. Restituisco una nuova lettura? Lo spero. Ma intanto questi pezzi di legno, natura non lo saranno più.
Così come i nostri goffi sforzi d’amore, nel provare a ridare vita a un pianeta che di vita ne ha sempre meno.
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