Sun Hee Moon Art

Painter, Artist
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Le ultime due collettive sono state “Bastardi affascinanti” all'Ex Fornace, Milano, 2022, e “Un lustro di vincitori del Premio Mestre” a palazzetto Tito, Venezia, 2022. Ultime due personali “Il hanbok e altre storie” al Palazzo del Consiglio Regionale a Trieste, 2019, e “Still Life” al Centro Trevi di Bolzano, 2023. Ultimi premi importanti, terzo posto al Premio Mestre di pittura, 2018, finalista Premio Yicca, 2022. Potrei fare un elenco delle mie attività, ma non spiegherebbe come sono arrivata a fare quello che faccio oggi. Perciò perdonatemi, ma questa è la parte più importante della mia biografia:
Quando ho lasciato la Corea per andare a vivere in Brasile con la mia famiglia avevo 2 anni e mezzo. Ho pochi ricordi sfumati della mia infanzia, ma tutto sommato ero una bambina normale. A parte il fatto di essere cresciuta come l'unica bambina orientale in una piccola città a Rio de Janeiro ( si chiama Niteròi ), ho passato per tutte le tipiche fasi della vita del bambino nerd. Andavo bene a scuola, pochi amici, il bullismo, la compagnia dei libri e dei sogni ad occhi aperti... e l'arte. Quando qualcuno mi portava ad un museo, per me era una gioia immensa, molto meglio che andare al parco, al cinema o a una festa, tanto di rado mi invitavano. Quando avevo circa 10 anni, andai a fare lezioni di disegno con un vecchio pittore in città. Per 2 anni ho passato tutti i miei sabati lì. Ho disegnato tutti i tipi di forme volumetriche con tutte le luci e angolazioni possibili, e prima di passare alla copia di disegni classici e figure umane, a 11 anni sapevo già disegnare senza righello, in prospettiva, creare profondità e ombreggiature correte. Non sapevo i nomi delle tecniche e mi sono resa conto di quella conoscenza solo anni dopo, quando ho iniziato l'università di architettura a Sao Paulo. Si, perché non ho potuto scegliere la strada che voleva il mio cuore. L'anno in cui dovevo fare l'esame d'ammissione per l'università, ho perso mia madre per un tumore che l'ha consumata per 2 anni. Allora mio padre ha deciso che avrei seguito una carriera stabile e sicura. Non era una cosa strana che i genitori decidessero delle sorti dei figli, specialmente delle figlie in quei anni, parliamo della fine dei anni 80, e tutte le mie amiche coreane e brasiliane vivevano così.
Ma come il nostro futuro lo decidiamo noi, ho lasciato la casa di mio padre a 20 anni. Ho continuato a studiare architettura, lavorare ed esercitarmi nella mia arte, frequentando corsi di pittura durante le pause pranzo. Essere una giovane donna che cerca l'indipendenza in una società conservatrice e patriarcale, come quella brasiliana e quella coreana che si trovava lì, è stata la mia più grande sfida. Perché quello che tanti nativi non capiscono è che le comunità straniere, piccole o grandi che siano, rimangono congelate nel tempo, nelle stesse abitudini socio culturali dell'anno in cui hanno lasciato la loro patria, mentre lì, nella loro terra natia la società si evolve, cambia e cresce. C'è stato un episodio che mi ha segnato e cambiato la direzione della mia vita in maniera incosciente ma decisiva. Quando avevo 15 anni, andai a un campo estivo organizzato dalla scuola coreana che frequentavo a Sao Paulo, in Brasile. Era una cosa carina, facevamo lezioni di cultura, lingua e tanti giochi coreani. Prima di partire le maestre hanno chiesto alle bambine di portare un hanbok, perché avremo fatto una lezione di etiquette coreana. Il hanbok è il vestito tradizionale coreano e io non avevo uno. Allora ho preso in prestito uno di mia zia. Quando sono entrata in stanza dove si svolgeva la lezione ho sentito subito commenti e bisbigli: “Che brutto quel hanbok” , “Sembra una serva”, “Non ho mai visto un hanbok così brutto... “ e cose del genere. Ho raccolto tutta la dignità che potevo fingere di avere e ho fatto la lezione facendo finta di non sentire i commenti e le risatine. Alla fine lezione la insegnate mi ha detto, davanti a tutte le bambine, che non ero aggraziata abbastanza per usare un hanbok. E dopo quella esperienza ho capito che il mio luogo non era neanche lì, e mi sono allontanata della comunità a cui io pensavo di appartenere. Ma il richiamo della propria natura è più forte della ignoranza di pochi. E la mia terra madre è l'Arte. Quando mi sono trasferita in Italia mi sono resa conto che ero nella terra dove si sono ispirati i grandi artisti che io per tutta la mia vita avevo ammirato, amato e studiato dall'altra parte del globo. Dopo le solite pause maternità, ho avuto la fortuna di poter lavorare in uno studio tutto mio dalla fine del 2016. Nel 2018 dopo essere stata “bocciata” 2 volte perché parlo male il coreano sono riuscita ad “imbarcarmi” nella avventura chiamata ARCOI, associazione artisti coreani in Italia. Fare parte dell'Arcoi non è stata e non è ancora facile, come sempre in un gruppo con tante persone. Ma il viaggio si fa giorno dopo giorno più interessante, perché alla fine mi sono resa conto che io non sono fatta per i viaggi solitari, a me piace la compagnia, la collaborazione, il gruppo. Non il branco, ma la famiglia. La mia installazione “ Il volo” rispecchia tutto quello a cui credo, ciascuno è importante in uguale misura e l'umanità non potrà andare avanti nell'egoismo e individualità. Ho sentito questa in questi giorni: Se due persone hanno una mela ciascuna e si scambiano le mele, ciascuno avrà sempre una mela. Ma se ciascuno ha una idea e se le scambiano, alla fine ciascuno avrà 2 idee. Non è bellissimo?
Adesso che mi sono scaldata mi verrebbe da scrivere tante cose... ma forse potrei finire con queste parole di Ferzan Ozpetek che credo spieghino tante cose di me, non tanto agli altri, ma a me stessa:
“ Se cresci senza nessuno che ti dica mai che sei bello e che sei bravo, senza una parola di conforto che ti rassicuri dandoti il tuo posto al sole nel mondo, niente sarà mai abbastanza per ripagarti di quel silenzio. Dentro resterai sempre un bambino affamato di gentilezza, che si sente brutto, incapace e manchevole, qualsiasi cosa accada. E non importa se, nel frattempo, sei diventato la più bella delle creature”.
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