Tutte le immagini di queste tavole grafiche sono state saccheggiate dai vasti giacimenti della rete, poi, dopo la raccolta, me ne sono preso cura elaborandole attraverso un programma di grafica digitale. Forse che questo è accaduto per una necessità di adeguamento alla sensibilità e alle opportunità del nostro tempo ? Non proprio, nel senso che lo strumento digitale è stato scelto perchè mi consentiva di risolvere un empasse rispetto ai rischi che si corrono davanti alle riproduzioni. Una criticità riconducibile all'interiorizzazione della legge mosaica ? La dove recita “non farai immagine...”. Magari, sarebbe bello e nobile potersi fare vanto di una tale adesione morale, ma no, in questo caso credo sia più opportuno parlare di un blocco psicologico, una difficoltà a fissare ciò che si manifesta nel reale. Debbo dire che l'idea di appropriami delle immagini altrui non è propriamente dell'ultimo minuto, un tempo vagheggiavo sulla possibilità di utilizzare dei solventi per consentirmi di svincolare da riviste o libri quelle parti di immagini che mi suggestionavano e quindi rimontarle, fissandole in nuove forme e significati, operando alla maniera dei restauratori quando strappano un'affresco da una parete per consegnarlo al pensionamento di un museo. Poi di queste alchimie non se n'è fatto nulla. Quindi sono ripiegato su sterili esercizi di calligrafia; dalle tempere sono migrato ai pastelli e alle matite, poi mi sono avvalso dell'ausilio di penne a inchiostro rosso e nero, costruendo pattern su pattern, tutti coscienziosamente archiviati nella carta da riciclo. Quando i tempi sono maturati al punto giusto è stato quanto andava detto a trovare la sua strada, a prendermi per mano. Così le tavole si sono andate accumulando e solo nel momento in cui hanno raggiunto una massa critica è stato possibile coglierne un ordine, un indirizzo che dal basso si spinge verso l'alto, dal basso delle pulsioni istintive all'alto di un pensiero impiegato su se stesso nell'arduo tentativo di capirsi. Il tutto non senza dubbi e ripensamenti, conditi col sale di qualche inciampo. Forse che a questo lavorio si offre la speranza di pervenire a una qualche destinazione ? Neppure a parlarne; quindi si da un avvicendarsi perpetuo di ultime tavole che aspirano a stabilire un confine. Così la ninfa che tanto ha suggestionato Aby Warburg è stata attrezzata di una lancia, l'asta di legno cozzando contro il limite si spezza, lasciandoci nella preoccupazione di capire se ad incendiarsi possa essere il bordo della pagina o quanto vi si trova oltre. I vapori arroventati prodotti dall'impatto dell'arma in fondo non fanno altro che riprendere, amplificandole, le correnti d'aria che già gonfiano la veste della figura femminile, un attorcigliarsi caotico in volute e spire in cui, a volerci guardare bene, si potrebbe scorgere il vero volto della Gorgone.
La differenza tra 'sacer' e 'sanctus' si vede in molte circostanze. Non vi è solo la differenza tra 'sacer', stato naturale, e 'sanctus', risultato di un'operazione. Si dice 'via sacra', 'mons sacer', 'dies sacra', ma sempre, 'murus sanctus', 'lex sancta'. Ciò che è 'sanctus' è il muro, ma non il territorio che il muro circoscrive, che è detto 'sacer'; è 'sanctum' ciò che è proibito per mezzo di alcune sanzioni. Ma il fatto di entrare in contatto con il sacro non porta come conseguenza lo stato di 'sanctus', non vi è sanzione per colui che, riguardo al 'sacer', diventa egli stesso 'sacer'; è bandito dalla comunità, non lo si castiga, e nemmeno colui che lo uccide. Si direbbe che il 'sanctum' è ciò che si trova alla periferia del 'sacrum', che serve ad isolarlo da ogni contatto.
Émile Benveniste “Il vocabolario delle istituzioni indo europee”
La differenza tra 'sacer' e 'sanctus' si vede in molte circostanze. Non vi è solo la differenza tra 'sacer', stato naturale, e 'sanctus', risultato di un'operazione. Si dice 'via sacra', 'mons sacer', 'dies sacra', ma sempre, 'murus sanctus', 'lex sancta'. Ciò che è 'sanctus' è il muro, ma non il territorio che il muro circoscrive, che è detto 'sacer'; è 'sanctum' ciò che è proibito per mezzo di alcune sanzioni. Ma il fatto di entrare in contatto con il sacro non porta come conseguenza lo stato di 'sanctus', non vi è sanzione per colui che, riguardo al 'sacer', diventa egli stesso 'sacer'; è bandito dalla comunità, non lo si castiga, e nemmeno colui che lo uccide. Si direbbe che il 'sanctum' è ciò che si trova alla periferia del 'sacrum', che serve ad isolarlo da ogni contatto.
Émile Benveniste “Il vocabolario delle istituzioni indo europee”