Francesco Passannante

Artista
Roma
Foto del profilo di Francesco Passannante
Francesco Passannante nasce nel 1992 in un paesino della Basilicata. Dopo essersi diplomato da Geometra si trasferisce a Roma dove nel 2020 consegue il diploma di laurea specialistica in Grafica d'Arte, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, con una tesi intitolata “Divenire. La materialità dell’essere nello spazio artistico contemporaneo”, che di seguito propone. A fronte del presente studio cerca di congelare le tappe di un percorso di liberazione - "in divenire" appunto - da una psiche condizionata, spinto dal desiderio di trovare un punto di contatto con il mondo attraverso il tentativo di superare personali limiti, per raggiungere di conseguenza una piena libertà di espressione e una coerente ridefinizione del rapporto con l’altro e con lo spazio che ci circonda e nel quale si agisce. Durante l’elaborazione di questo percorso giunge a riscoprire l’inevitabilità del contatto con l’altro, come unica via per arrivare ad una piena consapevolezza personale che metta in discussione la condizione umana di "essere-subordinato" sia a dinamiche sociali ma anche e soprattutto a condizionamenti intrapsichici che il più delle volte sono influenti al punto da interferire in maniera consistente nella vita quotidiana e minare alla propria stabilità di "essere-sociale". È stato dunque il tentativo di esplorarsi, accettandosi e conseguentemente accettando il proprio stato di condizionamento al fine di viverlo non come un limite ma anzi come un vantaggio consapevole, cercando di "ri-modulare" il personale rapporto con quella "psichica gabbia" la cui edificazione Freud fa risalire alle famose "fasi dello sviluppo psicosessuale" che caratterizzano i primi cinque anni della vita di ognuno. La personale ricerca non è ancora giunta a una risposta definitiva ma ha impostato ulteriori riflessioni che, si spera, troveranno il loro compimento in un prossimo futuro, grazie uno studio che ha assunto un forte carattere di sperimentazione critica che spinge continuamente a concepire la fine non come la conclusione di qualcosa bensì come l’inizio di qualcosa di altro: una continua metamorfosi che, oltre ad agire a livello concettuale, caratterizza il continuo divenire-altro del prodotto artistico attraverso un percorso che, influenzato dal pensiero orientale,  mira al pieno dell’efficacia nell’assoluto vuoto di finalità. L'analisi proposta è nata dal desiderio di comprensione di impulsi che, agendo a livello inconscio, si manifestavano nel bisogno di riempire ampie superfici con gesti modulari e ripetuti, quasi ad esorcizzare i comportamenti compulsivi che condizionano la quotidianità secondo quella necessità di "messa in pratica" che lo psicanalista tedesco Hans Prinzhorn definisce come bisogno di espressione della psiche. L’impulso alla messa in opera ha, di conseguenza, impostato il mostrarsi come un obiettivo che permette, in un certo qual modo, di vedersi dentro dall’esterno, innescando inevitabili relazioni con lo spazio circostante. Al fine di indagare tali relazioni si è preso a riferimento il concetto heideggeriano dell’"essere-nel-mondo", nel quale si è potuto riscontrare l’effettiva esistenza di un naturale senso di angoscia generata da quel vuoto di significato che sorge quando ci poniamo in relazione al mondo in determinate condizioni emotive. Dunque la prima fase del lavoro è caratterizzata dall’indagine delle modalità di espressione di quegli impulsi che cercano di prendere forma sul piano artistico e che si manifestano nell’esperienza dell’Horror Vacui, spiegabile come un’esperienza angosciosa che porta al bisogno irrefrenabile di riempire una superficie, in assenza di un preciso obiettivo. Sono iniziate così ad essere evidenti quelle relazioni con lo spazio dettate dalla dialettica pieno-vuoto che ha innescato delle riflessioni sul concetto stesso di vuoto come esistenza dei principi alla base dell’equilibrio del cosmo. Infatti qualunque sia il modo di vedere la realtà è attraverso l’indagine del dialogo fra pieno e vuoto che si prende coscienza dello spazio. La percezione del vuoto avviene essenzialmente in negativo, tuttavia, in relazione al pieno, rimanda alle opposte interpretazione delle differenti culture: quella occidentale in cui il vuoto ha da sempre avuto una connotazione prevalentemente negativa, e quella orientale che accoglie un senso positivo dello stesso in quanto capace di dare valore a "ciò che esiste". È stata, per l'appunto, l'analisi di una differente concezione del vuoto e dello spazio che ha permesso di ribaltare i termini della visione rispetto al lavoro personale, aprendo a nuove possibilità di rappresentazione. Un momento di avvicinamento fra le due differenti culture è stato evidente confrontando il capitolo 11 del Tao con la riflessione heideggeriana sulla questione della "cosa", in quanto ha permesso di rivalutare il fine stesso del lavoro. Nel Tao l’autore sottolinea come sia sbagliato dare importanza esclusivamente a "ciò che è", perché è quello che "non è", dunque lo spazio vuoto, a rappresentare l’utilità stessa delle cose e quindi la loro essenza. Heidegger similmente, cercando di rispondere alla domanda "che cosa è una cosa?", riflette sull’utilità stessa dell’oggetto, cioè sulla funzione per la quale la cosa stessa esiste e, prendendo a riferimento una brocca, precisa come questa prescinda dal materiale di cui è costituita e si esplichi nel vuoto che contiene, in quanto ne garantisce l’utilità. Quindi da entrambi i punti di vista lo spazio vuoto è una presenza insostituibile nella definizione delle cose: è qualcosa che non può essere afferrato ma che paradossalmente fa essere l’essere. Traslando queste riflessioni di carattere generale sul personale progetto, si è giunti a considerare il riempimento della superfice, generato dallo svuotamento ossessivo, non più come il risultato finale di un processo, ma come la tappa di un percorso infatti, se come dice il Tao l’importante è il vuoto del vaso e non l’argilla che in lo costituisce e se come Heidegger sottolinea è questo vuoto che costituisce l’essenza stessa del vaso, allora il fine non è lo svuotamento ma al contrario il "vuoto pneumatico" che questo produce, di conseguenza non si percepisce più la necessità di riempire un vuoto ma il bisogno di rappresentarlo. Proseguendo su queste osservazioni si è arrivati così alla conclusione che consacrare questo vuoto offrendogli la possibilità di prendere una forma e offrirlo a uno spazio pronto ad accoglierlo, consente di affermare la sua essenza, rendendo visibile qualcosa che di per è invisibile. Lo scopo perseguito è stato dunque quello di cercare di rendere concreto, attraverso la realizzazione di un prodotto artistico, un concetto di per astratto. Per raggiungere questo obiettivo, si è tentato di scovare l’origine del bisogno ossessivo di atti ripetuti, giungendo a un’analisi introspettiva e per certi versi destabilizzante. In questo senso di fondamentale importanza sono stati gli studi freudiani sull’inconscio e sull’insieme dei pensieri rimossi che lo definiscono come "luogo" oscuro della psiche, dal quale sorgono idee e impulsi ossessivi che rappresentano la difesa dell’Io dalle idee rimosse perché generate da pensieri ed esperienze che rappresentano un dolore insopportabile. Particolarmente rilevate è stata l’analisi di quella che Freud identifica come "seconda fase" dello sviluppo psicosessuale ovvero la Fase anale, in quanto si sono riscontrate molte similitudini fra i personali atteggiamenti e quelli che secondo lo psicoanalista austriaco definiscono un superamento parziale della stessa. In questo stadio i bisogni del bambino, che si concentrano nella zona anale, danno origine a nuovi conflitti con stesso e con il mondo, infatti l’adeguamento alle regole sociali imposte dalla figura genitoriale, genera nell’infante un forte senso di frustrazione che, secondo Freud, determina il modo in cui questi si rapporterà al mondo. Il bambino sente le feci come parte del proprio corpo e come sua prima produzione autonoma, e per questo motivo è importante sapere dove e a chi è diretto ciò che l’infante vede come un “dono” e, a seconda del modo nel quale viene accolto questo oggetto amato, il bambino risponderà con comportamenti espulsivi o retentivi che concorreranno alla definizione di tratti caratteriali nevrotici e psicotici. Rileggendo queste teorie sulla base del lavoro pratico portato avanti, si riscopre nel dono la possibilità di divenire, in quanto il destabilizzante riferimento alla vita psicosessuale dell’individuo ha definito il percorso da seguire per rappresentare quel vuoto interiore derivante dall’impulsivo e inconscio svuotamento. Il fine di questo processo probabilmente rappresenta il superamento di quel limite psichico preimpostato, che si realizza nel donare il prodotto dello svuotamento, ossessivamente perseguito, all’azione della natura, riscontrando una sorprendente analogia con la separazione da parte del bambino della sua produzione intestinale. Il dono simboleggerebbe in parte il superamento di questa fase psicosessuale che cerca inconsciamente una risoluzione nella pratica artistica, diventando così una ricerca cosciente del proprio incompiuto e angoscioso. Il "dono", in quanto tentativo di completamento, è a sua volta la scoperta di una modalità di rappresentazione che trova il suo compimento nella libera possibilità di far agire fattori esterni, indipendenti e fuori dal controllo umano, generando destabilizzanti e inusuali conseguenze. Questa azione non compiendosi più in età infantile non comporta gli stessi conflitti e le stesse figure autoritarie: il “donare” non è più qui in riferimento alla figura genitoriale ma a "qualcosa-di-altro", che sarà per l’appunto una “Grande Madre” che nutre e soddisfa i bisogni degli individui in quanto fonte di vita. Il donare, inoltre, in questo caso presuppone una grande libertà di pensiero, in diretto contrasto con il tentativo ossessivo di controllare cose ed eventi e un certo grado di fiducia verso l’altro dettata dall’insicurezza di un "controdono", che paradossalmente, come precisa Marcel Mauss, è ciò che dà valore al dono stesso. Questo processo "in divenire", che auspica al raggiungimento della piena essenza delle cose, riscopre nella rivalutazione del vuoto pneumatico la piena libertà di espressione e la liberazione da psichici condizionamenti che guidano il percorso di una vita angosciosa. In questo modo si è inoltre riscoperto un rapporto nuovo fra l’uomo e il suo intorno, che ne rigetta una netta distinzione, e la primaria importanza del rapporto tra lo spazio e l’opera la quale nasce al suo interno adattandosi a imprevedibili condizionamenti, assolvendo d’altro canto al ruolo di “ponte heideggeriano” che fa emergere lo specifico luogo razionale dall’insieme degli spazi indefiniti come elemento di composizione fra vuoto e pieno. Considerando il vuoto come l’energia produttiva che concorre all’essenza delle cose, si propone come una possibile soluzione ai conflitti derivanti dal rapporto fra il e il mondo circostante con la conseguente modifica della percezione del mondo stesso e della misura nella quale si esplica questa relazione. Tale rapporto agisce sull’oggetto artistico, il quale diventa la "traccia" del passaggio dell’individuo nell’ambiente e modifica d’altro canto l’ambiente stesso secondo dei parametri prettamente individuali e spesso non definibili a priori, ma è in tale imprevedibilità che risiede a mio avviso il fascino stesso di questa naturale reciprocità. In definitiva, questo modo di operare ha virato il pensiero verso una via che non vede più l’essere-sé, in quanto tale, come obiettivo da raggiungere, ma riscopre nel processo stesso "in divenire”, un atto di trasformazione che coglie insieme passato, presente e futuro e pone in diretta relazione l’individuo con le naturali componenti di una vita in costante mutazione. L’essere non è più così inteso come semplice presenza, ma diventa la “possibilità” di essere stessa, non determinata, ma subordinata a una scelta. La concretizzazione di un concetto astratto è stato a sua volta inteso come un percorso attuato prendendo coscienza del proprio rapporto con stessi e mettendosi –a discapito dei propri limiti- in una relazione diretta con il proprio intorno, abbandonandosi liberamente a esso. La liberazione da personali ossessioni non è dunque più la paura di perdersi, ma la necessità di ricrearsi -secondo parametri completamente nuovi e inconsueti- attraverso l’immersione nel vuoto per capire e definire ciò che il pieno rappresenta.
 
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