Gianfranco Rinaldi nasce nel 1952 a Bracciano (Roma), dove vive e lavora. Nel 1970 consegue il diploma al Liceo Artistico. Successivamente frequenta il corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma e contemporaneamente il corso di laurea in architettura.
Dall'intervista a Gianfranco Rinaldi. A cura di Ennery Taramelli
Come sei arrivato alla pittura?
Disegnare è sempre stata la mia passione. Alle scuole medie, la professoressa di disegno mi suggerì d’iscrivermi al Liceo Artistico. Seguii il suo consiglio e dopo il diploma decisi di frequentare il corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Dopo un anno di frequenza, m’iscrissi anche al corso di laurea in Architettura all’università la Sapienza di Roma. Seguire i due corsi di studio mi disorientò completamente, e a un tratto mi sentii perduto. La vita d’artista che avevo immaginato consacrata interamente alla pittura si vanificò e cedette il posto a un vissuto di tutt’altra fatta. Solo alla fine degli anni 80, la pittura è tornata a diventare protagonista della mia vita, accompagnandomi non senza conflitti e inquietudini, con l’ansia di possibili abbandoni e distacchi fino alla fine del 2001, da quel momento una lunga pausa è intervenuta fino alla fine del 2018.
Cos’è per te la pittura?
A mio parere dipingere è qualcosa che si fa, che si realizza. Per me l’aspetto fisico e materiale della pittura è dominante e sono contrario a ogni forma di astrazione mentale o concettuale. Negli anni ’70, l’arte concettuale ha favorito l’operazione mentale a scapito della prassi artistica. Oggi nell’arte è tutto possibile, basti pensare alle installazioni che vivono il tempo effimero della loro esposizione nelle gallerie e nei musei. Questa dimensione effimera e perfomativa del fare arte, non m’interessa. Nei tempi più antichi, la pittura, come pure la scultura, erano pratiche corporee. Tramite la gestualità del pennello sulla tela, o dello scalpello sul marmo, l’artista infondeva nell’opera un pathos affettivo ed emotivo, in un connubio indissolubile tra mano e mente. Ecco, è questo connubio che prende forma nella materialità fisica e corporea della pittura che m’interessa.
Cosa quindi ha rappresentato, in questo lungo periodo per te la pittura?
Dipingere è per me una necessità. Anche se per un periodo l’ho abbandonata, la pittura è tornata a imporsi nella mia vita in maniera impellente. Dopo la laurea in architettura ho lavorato presso studi d’ingegneria e imprese edili, ma approfittavo di ogni momento libero per disegnare o per dipingere. Inoltre non ho mai tralasciato di mantenermi al corrente delle vicende della vita artistica romana e di quanto accadeva a livello internazionale. Potrei dire che la pittura è stata la mia fedele compagna di vita, il mio amore segreto, nascosto. (...)
Dall'intervista a Gianfranco Rinaldi. A cura di Ennery Taramelli
Come sei arrivato alla pittura?
Disegnare è sempre stata la mia passione. Alle scuole medie, la professoressa di disegno mi suggerì d’iscrivermi al Liceo Artistico. Seguii il suo consiglio e dopo il diploma decisi di frequentare il corso di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Dopo un anno di frequenza, m’iscrissi anche al corso di laurea in Architettura all’università la Sapienza di Roma. Seguire i due corsi di studio mi disorientò completamente, e a un tratto mi sentii perduto. La vita d’artista che avevo immaginato consacrata interamente alla pittura si vanificò e cedette il posto a un vissuto di tutt’altra fatta. Solo alla fine degli anni 80, la pittura è tornata a diventare protagonista della mia vita, accompagnandomi non senza conflitti e inquietudini, con l’ansia di possibili abbandoni e distacchi fino alla fine del 2001, da quel momento una lunga pausa è intervenuta fino alla fine del 2018.
Cos’è per te la pittura?
A mio parere dipingere è qualcosa che si fa, che si realizza. Per me l’aspetto fisico e materiale della pittura è dominante e sono contrario a ogni forma di astrazione mentale o concettuale. Negli anni ’70, l’arte concettuale ha favorito l’operazione mentale a scapito della prassi artistica. Oggi nell’arte è tutto possibile, basti pensare alle installazioni che vivono il tempo effimero della loro esposizione nelle gallerie e nei musei. Questa dimensione effimera e perfomativa del fare arte, non m’interessa. Nei tempi più antichi, la pittura, come pure la scultura, erano pratiche corporee. Tramite la gestualità del pennello sulla tela, o dello scalpello sul marmo, l’artista infondeva nell’opera un pathos affettivo ed emotivo, in un connubio indissolubile tra mano e mente. Ecco, è questo connubio che prende forma nella materialità fisica e corporea della pittura che m’interessa.
Cosa quindi ha rappresentato, in questo lungo periodo per te la pittura?
Dipingere è per me una necessità. Anche se per un periodo l’ho abbandonata, la pittura è tornata a imporsi nella mia vita in maniera impellente. Dopo la laurea in architettura ho lavorato presso studi d’ingegneria e imprese edili, ma approfittavo di ogni momento libero per disegnare o per dipingere. Inoltre non ho mai tralasciato di mantenermi al corrente delle vicende della vita artistica romana e di quanto accadeva a livello internazionale. Potrei dire che la pittura è stata la mia fedele compagna di vita, il mio amore segreto, nascosto. (...)