Per Milena Nicosia l’arte è respiro, narrazione, eternità.
Nata in Sicilia, dipinge da quando aveva 4 anni e da allora non ha mai perso l'entusiasmo di farlo.
Gli studi all’Accademia di Belle Arti sono stati ricchi di stimoli: Alchimia, Estetica, Filosofia, Simbologia e Storia dell’Arte gli hanno lasciato una voglia infinita di sperimentazione.
La sua produzione è andata di pari passo con il tempo vissuto, c’è stato il momento del calore dei "letti", la passione dei vent'anni mescolata con la malinconia, con le mancanze e le "assenze". I suoi vuoti contenevano presenze, odori e suggestioni.
Dal 2005 nelle sue opere il calore e le emozioni sono state sostituite dal gelo e dal rigore, contenevano tracce di abiti “spogliati dal corpo”, essenze in impronte che conservano una forma che non c’è più.
Il colore era quello del reperto archeologico o fotografico in bianco e nero.
La sua percezione delle cose è intima e sacra, le impronte materiali e immateriali che la vita ci lascia sono la sua grande fonte di ispirazione. Le sue opere femminili e misteriose custodiscono delle storie e dei racconti di vita anche quando appaiono astratti o metafisici. Il suo colore non è realistico ma emozionale.
La sua è una pittura in levare, scavando, incidendo o corrodendo la superficie, sia a livello tecnico che filosofico e così similmente ad uno scultore o a un archeologo lei vede l’immagine sulla superficie lasciandosi trasportare e suggestionare.
Le opere nate dal 2016 ad oggi si legano alla poetica delle "rovine contemporanee”, che raccontano vite trascorse con la lingua muta della nostalgia, spazi lontani da qualsiasi logica in cui la mente è l'unica guida, usando l'arte per costruire una personale segnaletica interiore nell'oceano incomprensibile dell'esistenza, dove tutto si riconcilia all'idea di una bellezza perduta, suo ideale rifugio.
Usa spesso il potere dialogante degli oggetti e il potere del frammento che apre le porte al racconto, a volte immaginifico ma sentore di presentimenti e presagi. I suoi frammenti e detriti sono simboli di paure ma anche di ribellione e resilienza.
Dal 2020 ad oggi dopo aver metabolizzato l’esperienza del Covid che ha segnato le vite di tutti per la sua imprevista assurdità Milena ha riversato nell'arte tutto il suo sentire, liberando la propria voce fatta di materia, forma, segno e visione, usando l'arte per ricostruire un percorso personale attraverso sentimenti, sensazioni, paure vissute e proiettate sul futuro dando vita ai “Nidi”, piccoli frammenti di paesaggi dentro fossili di origine umana e meccanica, micro luoghi immaginari in cui detriti senza vita diventano ipotetici nidi, inospitali ed inabitabili, ma essenziali per la sopravvivenza, simboli di tragedia, di ferite profonde ma anche di speranza e di resilienza esprimendo il bisogno di proteggersi, di nascondersi, di ricostruirsi e di reagire tornando alla luce dopo tanto buio e alla vita dopo tanta morte.
Successivamente il tema si allargò ad opere sul “Post Antropocene”. Raccontare l’Antropocene anche in considerazione dello scoppio di guerre insensate e terribili che portano distruzione e desolazione in una visione aerea che non lascia scampo all’immaginazione e da cui sono visibili anche vecchi fantasmi di cemento e ferro che tracciano il passaggio dell’uomo o cicatrici geologiche che segnano il territorio. Voragini di solitudine e inquietudine, trappole planetarie in cui come topi finisce l’umanità. Ritorna come costante la paura generata dalla consapevolezza e il bisogno primario di proteggersi e rifugiarsi.
Nata in Sicilia, dipinge da quando aveva 4 anni e da allora non ha mai perso l'entusiasmo di farlo.
Gli studi all’Accademia di Belle Arti sono stati ricchi di stimoli: Alchimia, Estetica, Filosofia, Simbologia e Storia dell’Arte gli hanno lasciato una voglia infinita di sperimentazione.
La sua produzione è andata di pari passo con il tempo vissuto, c’è stato il momento del calore dei "letti", la passione dei vent'anni mescolata con la malinconia, con le mancanze e le "assenze". I suoi vuoti contenevano presenze, odori e suggestioni.
Dal 2005 nelle sue opere il calore e le emozioni sono state sostituite dal gelo e dal rigore, contenevano tracce di abiti “spogliati dal corpo”, essenze in impronte che conservano una forma che non c’è più.
Il colore era quello del reperto archeologico o fotografico in bianco e nero.
La sua percezione delle cose è intima e sacra, le impronte materiali e immateriali che la vita ci lascia sono la sua grande fonte di ispirazione. Le sue opere femminili e misteriose custodiscono delle storie e dei racconti di vita anche quando appaiono astratti o metafisici. Il suo colore non è realistico ma emozionale.
La sua è una pittura in levare, scavando, incidendo o corrodendo la superficie, sia a livello tecnico che filosofico e così similmente ad uno scultore o a un archeologo lei vede l’immagine sulla superficie lasciandosi trasportare e suggestionare.
Le opere nate dal 2016 ad oggi si legano alla poetica delle "rovine contemporanee”, che raccontano vite trascorse con la lingua muta della nostalgia, spazi lontani da qualsiasi logica in cui la mente è l'unica guida, usando l'arte per costruire una personale segnaletica interiore nell'oceano incomprensibile dell'esistenza, dove tutto si riconcilia all'idea di una bellezza perduta, suo ideale rifugio.
Usa spesso il potere dialogante degli oggetti e il potere del frammento che apre le porte al racconto, a volte immaginifico ma sentore di presentimenti e presagi. I suoi frammenti e detriti sono simboli di paure ma anche di ribellione e resilienza.
Dal 2020 ad oggi dopo aver metabolizzato l’esperienza del Covid che ha segnato le vite di tutti per la sua imprevista assurdità Milena ha riversato nell'arte tutto il suo sentire, liberando la propria voce fatta di materia, forma, segno e visione, usando l'arte per ricostruire un percorso personale attraverso sentimenti, sensazioni, paure vissute e proiettate sul futuro dando vita ai “Nidi”, piccoli frammenti di paesaggi dentro fossili di origine umana e meccanica, micro luoghi immaginari in cui detriti senza vita diventano ipotetici nidi, inospitali ed inabitabili, ma essenziali per la sopravvivenza, simboli di tragedia, di ferite profonde ma anche di speranza e di resilienza esprimendo il bisogno di proteggersi, di nascondersi, di ricostruirsi e di reagire tornando alla luce dopo tanto buio e alla vita dopo tanta morte.
Successivamente il tema si allargò ad opere sul “Post Antropocene”. Raccontare l’Antropocene anche in considerazione dello scoppio di guerre insensate e terribili che portano distruzione e desolazione in una visione aerea che non lascia scampo all’immaginazione e da cui sono visibili anche vecchi fantasmi di cemento e ferro che tracciano il passaggio dell’uomo o cicatrici geologiche che segnano il territorio. Voragini di solitudine e inquietudine, trappole planetarie in cui come topi finisce l’umanità. Ritorna come costante la paura generata dalla consapevolezza e il bisogno primario di proteggersi e rifugiarsi.