opera
Circo
categoria | Disegno |
soggetto | Viaggi, Paesaggio, Natura, Figura umana, Bellezza, Astratto, Animale |
tags | |
base | 70 cm |
altezza | 50 cm |
profondità | 0 cm |
anno | 2011 |
Penne su carta
L'opera ha ispirato l'omonimo scritto poetico di Angelo Sturiale "México" pubblicato in FINESTRA (Algra Editore, 2021).
I piani si sovrappongono quando parlo, scrivo o penso
a te, México lindo y querido, quando le tue luci si
aggiungono ai miei più profondi bui, e le persiane
arrotolate distruggono ogni scenario tra le montagne
odorose di verde, le spiagge indefinite e le terre
imbiancate che si assommano a nevi e grigi che non
esisteranno più tra le tue rime, e che non si infrangeranno
invano tra le scogliere dei tuoi paesaggi interiori.
E quegli arancioni delle lampade che sin da Michoacán
scolpivano gli immaginari cromatici dei miei occhi e
visioni, quelle luci e quei lampioni che dalla Calzada
Madero del tuo centro storico tra quelle periferie,
illuminavano le mie oscurità, nutrivano le annoiate
osservazioni che la mia esistenza ridefiniva un tempo
in scenari sempre più nuovi e limpidi, gentili e
appassionati, e tra le pieghe dei miei sovrani desideri.
Perché hai pulsato tra le mie vene e pene, México,
hai sognato tra le fantasie leggere, ma arrugginite da
una vita piegata a sorridere tra carezze e orgasmi,
proiezioni e allegrie che con suono e colore affrescavano
le vie che da te e per te ho percorso tra sereno equilibrio
e drammatico stupore. Furono dunque quei colori ad
assorbire i contorni del mio peregrinare tra le tue terre
Purépecha e le cortecce degli alberi che il Chiapas inondava
su me come i fiumi fluidi e leggeri di un Sumidero tutto
e solo mio, io che affondavo inesorabile tra le viscere e
i canali oscuri e occulti di León e Potosí, tra gli echi di
Jalisco e le acque tormentose di Huatulco, e tra quei
sussulti e carezze, quei salti e abbracci che mi hai saputo
dare tra le piazze più belle e gli odori più intensi, tra le
tue cosce e avambracci che sapevano di gioia, che
splendevano di vita e di vita mia, ma che adesso diluiscono
tra intonaci e navate, tra murales e cattedrali accecate dal
sole, e dall’oro barocco che solamente assieme potemmo
lì apprezzare, tra le letture ispaniche e tra le esse sonore
e sibilanti di antiche memorie e volgari assonanze.
Sei stato un mistero, México, un’esperienza quotidiana di
luce e meraviglia, di delicate e accorate carezze che hanno
reso morbida e soave ogni cosa, ogni umore, ogni fluido
amore. Rispediscimi dunque indietro nel tempo, ti prego:
fammi riascoltare il suono di quei giovani passi tra
l’acquedotto e i portali, tra quegli archi immensi e gli
stivali per poco tempo ancora neri, lucidi e brillanti, che
hai fatto spolverare con fede e abitudine ogni giorno tra
i calori e malumori cittadini di Morelia, e il calore e il
colore che ci assorbiva, e noi a dubitare con veemenza
che tutto prima o poi avrebbe avuto fine. Le tue strade,
o México amato e temuto un tempo, si sono fatte mie,
ma solo adesso e dentro il cielo azzurro caldo e un poco
torbido, come la frontera che a piedi mi imponesti di
percorrere, perché volevi punirmi per essermi allontanato
via da te per troppo tempo. Ma tu, rimmergendomi tra le
acque dei tuoi terreni fluidi e sempre verdi, riempiti di
lavoro e di sogni, e tu che mi osservavi da lontano e da
lontano mi chiamavi per ritornare a te, mi hai accarezzato
e corteggiato, mi hai permesso di fare a pugni con la parte
più fragile e nascosta delle mie insicurezze e paure.
E mi hai plagiato e schiaffeggiato per tutto ciò che non ti ho
saputo dare, per ogni cosa che non sono riuscito a salvare
tra la rete asfissiata dalla tua umana corruzione. Mi hai
sedotto: sei stato onnipresente col tuo caos lirico e fisico,
tra le viuzze e le autostrade senza senso del tempo. E tu lo
pensavi chiaro e me lo ripetevi spesso, me lo ripetevi in ogni
modo e coi linguaggi più diversi: non è col corpo e i suoi
umori che si costruisce l’amore, non è col possesso che
si inganna il sentimento, ma con l’augurio e essenza di una
carezza, con l’attesa e la pazienza. Epperò non ti ho voluto
credere: per questo ti ho perduto tra le calli e gli aromi di
novembre, tra i corridoi anneriti e le piazze colorate a festa.
E fluido, come il fumo che sale verso l’alto dal camino del
mio cammino, sarà il nostro eloquio, la dolcezza che dall’
albero della vita ci regalerà poi l’oblio. Ma ridefinirò le
traiettorie dei nostri desideri, per doverti inseguire tra
quegli inganni e bugie. E mi attenderai dunque tra le ombre
dei canneti e i rossori dei vigneti a farti bruciare dal sole.
E anche se tra le tue vene e famiglie scorre a volte veleno
e marcio, se tra i segreti e le caverne si nascondono quei
merli neri di livore, è l’apparenza o estetica che si apre come
desiderio verso il mio mondo di sogno che mi alimenta e
grazia, è l’ameno equilibrio di immagini e bellezza che si
manifesta a me come dolce e delicato disegno di un mondo
che dall’altro mondo è arrivato a farmi felice la vita.
E se adesso rivado indietro a ripescare nel tempo le lune
intense dei nostri abbracci violentati d’amore, e i soli caldi
e osceni a buttarci addossso orgasmi e piaceri, non provo
più nulla, o México un tempo lindo y querido. Perché tu
sei stato un sogno, un disegno tra i colori e i tratti di un
delirio appassionato. Scomparso come tuo figlio tra gli
angeli e il nero della tua iridescenza, ucciso da schiaffi e
realismo, tra menzogne e magie, non appari però ormai
più da nessuna parte: sei invisibile tra le vene e le articolazioni
del mio sentire che un tempo odorava di te in ogni luogo del
mio pensare, godere e agire. Perché quel giorno uggioso,
proprio all’inizio simbolico dell’inverno più grigio mai visto
da quelle parti, in quella mattina così nera e vera che ha
rivelato il volto scavato da crepi immense e comode bugie,
mi dileguai da te per sempre, México lindo y querido.
Scappai da te ché eri un’ombra o una copia di un
sentimento ormai assopito o spento. E come braci
di un fuoco che per tutto questo tempo hanno scaldato
e alimentato ogni mia più profonda armonia d’amore,
non vibro ormai più ai tuoi richiami e adulazioni, non
mi dirigo più verso le tue lusinghe e i miei tanti mea
culpa. Troppo tempo trascorso ad aspettare ha logorato
ogni speranza di perdono o entusiasmo florido e ardente.
E quindi forse scompaio per sempre, annichilendo ogni
pretesa di aprirmi ancora verso lotte impari e ingiusti affetti.
L’incantesimo è finito: il sipario è chiuso ormai. E come
una moviola che ha regalato danze ed emozioni nel buio
della sala che adesso è la mia vita, non risuonando più con
sfarzi e luci un tempo accese al mondo, chiudo bagagli e
pensieri di un tempo che ormai non abitano più lo stesso
aroma. E apro un nuovo libro, spalancando alla vita un
baule o finestra che mi permetteranno presto di delineare
un luogo tutto nuovo e tutto mio: un’avventura memorabile
come quella vissuta dentro il tuo grembo, o México folle
che odori, nonostante tutto, ancora di poesia.
Ma sei lontano, México forse ormai già dimenticato e che
hai cambiato ogni cellula distratta in un pianeta imbestialito
e turbato da tanta passione e oblio, o México che ti affacci
sull’orlo del precipizio da cui ho rischiato spesso di cadere.
Luogo dell’anima, buco nero del mio sentire, segreto
inconfessabile e tabù, biblioteca di affetti e fabbrica d’amore
sei stato, México, turbando per anni l’idea di me che mi ero
fatto su paure e dolori, uno specchio del cuore in cui ho pianto
e gridato ogni santo anno per settimane sante solo e isolato, e
a cercare solo io l’amore nel tuo amore negato.
Poema d’amore che si sbriciola adesso dopo inganni e
giravolte per giustificare al mondo ogni salto e bugia, ogni
apparenza, ogni estremo volere tra le viscere selvagge dei
tuoi amanti supremi. Primavera perenne nell’anima di chi ti
ha amato in fondo anche solo per errore. Agosto infuocato
da membri e libido, da seni e glutei che si rincorrono tra
parchi assolati e finestre da cui spiare caldi e perversi le
epidermidi odorose che sanno ancora di te in ogni dettaglio.
Apparso dal nulla, nell’ingombrante nulla scompari: come
lucina fioca o lampada agonizzante tra mille soli illuminati
di splendore, o come gioielli sfarzosi tra l’oro più giallo ed
arrogante. Piramide di luna ancora in sogno che si alimenta
di quei ricordi e baci in cui mito e memoria si accoppiano e
tradiscono. Come male e bene abbracciati tra loro, come
nero e bianco: l’uno complemento dell’altro. Come armonia
tra accordi in cui grave e acuto si uniscono per riappacificarsi
interamente col quel mondo che un tempo decise di separarci.
Perché morte e vita in te sono specchio e illusione di
un paradigma in cui esistenza e negazione si baciano
e respingono. Vita e morte che rovesciano valori e
sentimenti, sarcofagi aperti all’universo, e cerotti di
violenza che accecano il sentiero e lo spirito in salita.
Dimenticami, México: hai già ucciso quell’amore,
calpestato ogni eccelsa armonia, fioco ricordo di noi
che abbiamo amato dentro cornici impossibili da
assemblare, dentro fiumi improbabili da tracciare tra
mappe astrali e geografie irreali. Sei già morto da tempo,
angelo di fuoco: sei scomparso tra le ceneri e le scie di
sole che ci hanno unito un tempo tra le pieghe dei tuoi
ventagli, tra le fessure dei tuoi intagli, in cui entrambi
nascondemmo i segreti dei quei codici asfissiati da luci
immature. E dunque, meglio allora seppellire ogni
esperienza d’amore, meglio occultare al mondo quel
legame in cui i corpi aggrediti da abbracci fulgidi e violenti,
si disperderanno tra i niente e i domani, tra gli zero e il
passato, tra la memoria di oggetti e le foto che insieme
creammo dal nulla. E che nel nulla seppelliranno il ricordo
di quel ventuno febbraio duemilacinque al riparo da
ulteriori tempi e spazi d’universo.
L'opera ha ispirato l'omonimo scritto poetico di Angelo Sturiale "México" pubblicato in FINESTRA (Algra Editore, 2021).
I piani si sovrappongono quando parlo, scrivo o penso
a te, México lindo y querido, quando le tue luci si
aggiungono ai miei più profondi bui, e le persiane
arrotolate distruggono ogni scenario tra le montagne
odorose di verde, le spiagge indefinite e le terre
imbiancate che si assommano a nevi e grigi che non
esisteranno più tra le tue rime, e che non si infrangeranno
invano tra le scogliere dei tuoi paesaggi interiori.
E quegli arancioni delle lampade che sin da Michoacán
scolpivano gli immaginari cromatici dei miei occhi e
visioni, quelle luci e quei lampioni che dalla Calzada
Madero del tuo centro storico tra quelle periferie,
illuminavano le mie oscurità, nutrivano le annoiate
osservazioni che la mia esistenza ridefiniva un tempo
in scenari sempre più nuovi e limpidi, gentili e
appassionati, e tra le pieghe dei miei sovrani desideri.
Perché hai pulsato tra le mie vene e pene, México,
hai sognato tra le fantasie leggere, ma arrugginite da
una vita piegata a sorridere tra carezze e orgasmi,
proiezioni e allegrie che con suono e colore affrescavano
le vie che da te e per te ho percorso tra sereno equilibrio
e drammatico stupore. Furono dunque quei colori ad
assorbire i contorni del mio peregrinare tra le tue terre
Purépecha e le cortecce degli alberi che il Chiapas inondava
su me come i fiumi fluidi e leggeri di un Sumidero tutto
e solo mio, io che affondavo inesorabile tra le viscere e
i canali oscuri e occulti di León e Potosí, tra gli echi di
Jalisco e le acque tormentose di Huatulco, e tra quei
sussulti e carezze, quei salti e abbracci che mi hai saputo
dare tra le piazze più belle e gli odori più intensi, tra le
tue cosce e avambracci che sapevano di gioia, che
splendevano di vita e di vita mia, ma che adesso diluiscono
tra intonaci e navate, tra murales e cattedrali accecate dal
sole, e dall’oro barocco che solamente assieme potemmo
lì apprezzare, tra le letture ispaniche e tra le esse sonore
e sibilanti di antiche memorie e volgari assonanze.
Sei stato un mistero, México, un’esperienza quotidiana di
luce e meraviglia, di delicate e accorate carezze che hanno
reso morbida e soave ogni cosa, ogni umore, ogni fluido
amore. Rispediscimi dunque indietro nel tempo, ti prego:
fammi riascoltare il suono di quei giovani passi tra
l’acquedotto e i portali, tra quegli archi immensi e gli
stivali per poco tempo ancora neri, lucidi e brillanti, che
hai fatto spolverare con fede e abitudine ogni giorno tra
i calori e malumori cittadini di Morelia, e il calore e il
colore che ci assorbiva, e noi a dubitare con veemenza
che tutto prima o poi avrebbe avuto fine. Le tue strade,
o México amato e temuto un tempo, si sono fatte mie,
ma solo adesso e dentro il cielo azzurro caldo e un poco
torbido, come la frontera che a piedi mi imponesti di
percorrere, perché volevi punirmi per essermi allontanato
via da te per troppo tempo. Ma tu, rimmergendomi tra le
acque dei tuoi terreni fluidi e sempre verdi, riempiti di
lavoro e di sogni, e tu che mi osservavi da lontano e da
lontano mi chiamavi per ritornare a te, mi hai accarezzato
e corteggiato, mi hai permesso di fare a pugni con la parte
più fragile e nascosta delle mie insicurezze e paure.
E mi hai plagiato e schiaffeggiato per tutto ciò che non ti ho
saputo dare, per ogni cosa che non sono riuscito a salvare
tra la rete asfissiata dalla tua umana corruzione. Mi hai
sedotto: sei stato onnipresente col tuo caos lirico e fisico,
tra le viuzze e le autostrade senza senso del tempo. E tu lo
pensavi chiaro e me lo ripetevi spesso, me lo ripetevi in ogni
modo e coi linguaggi più diversi: non è col corpo e i suoi
umori che si costruisce l’amore, non è col possesso che
si inganna il sentimento, ma con l’augurio e essenza di una
carezza, con l’attesa e la pazienza. Epperò non ti ho voluto
credere: per questo ti ho perduto tra le calli e gli aromi di
novembre, tra i corridoi anneriti e le piazze colorate a festa.
E fluido, come il fumo che sale verso l’alto dal camino del
mio cammino, sarà il nostro eloquio, la dolcezza che dall’
albero della vita ci regalerà poi l’oblio. Ma ridefinirò le
traiettorie dei nostri desideri, per doverti inseguire tra
quegli inganni e bugie. E mi attenderai dunque tra le ombre
dei canneti e i rossori dei vigneti a farti bruciare dal sole.
E anche se tra le tue vene e famiglie scorre a volte veleno
e marcio, se tra i segreti e le caverne si nascondono quei
merli neri di livore, è l’apparenza o estetica che si apre come
desiderio verso il mio mondo di sogno che mi alimenta e
grazia, è l’ameno equilibrio di immagini e bellezza che si
manifesta a me come dolce e delicato disegno di un mondo
che dall’altro mondo è arrivato a farmi felice la vita.
E se adesso rivado indietro a ripescare nel tempo le lune
intense dei nostri abbracci violentati d’amore, e i soli caldi
e osceni a buttarci addossso orgasmi e piaceri, non provo
più nulla, o México un tempo lindo y querido. Perché tu
sei stato un sogno, un disegno tra i colori e i tratti di un
delirio appassionato. Scomparso come tuo figlio tra gli
angeli e il nero della tua iridescenza, ucciso da schiaffi e
realismo, tra menzogne e magie, non appari però ormai
più da nessuna parte: sei invisibile tra le vene e le articolazioni
del mio sentire che un tempo odorava di te in ogni luogo del
mio pensare, godere e agire. Perché quel giorno uggioso,
proprio all’inizio simbolico dell’inverno più grigio mai visto
da quelle parti, in quella mattina così nera e vera che ha
rivelato il volto scavato da crepi immense e comode bugie,
mi dileguai da te per sempre, México lindo y querido.
Scappai da te ché eri un’ombra o una copia di un
sentimento ormai assopito o spento. E come braci
di un fuoco che per tutto questo tempo hanno scaldato
e alimentato ogni mia più profonda armonia d’amore,
non vibro ormai più ai tuoi richiami e adulazioni, non
mi dirigo più verso le tue lusinghe e i miei tanti mea
culpa. Troppo tempo trascorso ad aspettare ha logorato
ogni speranza di perdono o entusiasmo florido e ardente.
E quindi forse scompaio per sempre, annichilendo ogni
pretesa di aprirmi ancora verso lotte impari e ingiusti affetti.
L’incantesimo è finito: il sipario è chiuso ormai. E come
una moviola che ha regalato danze ed emozioni nel buio
della sala che adesso è la mia vita, non risuonando più con
sfarzi e luci un tempo accese al mondo, chiudo bagagli e
pensieri di un tempo che ormai non abitano più lo stesso
aroma. E apro un nuovo libro, spalancando alla vita un
baule o finestra che mi permetteranno presto di delineare
un luogo tutto nuovo e tutto mio: un’avventura memorabile
come quella vissuta dentro il tuo grembo, o México folle
che odori, nonostante tutto, ancora di poesia.
Ma sei lontano, México forse ormai già dimenticato e che
hai cambiato ogni cellula distratta in un pianeta imbestialito
e turbato da tanta passione e oblio, o México che ti affacci
sull’orlo del precipizio da cui ho rischiato spesso di cadere.
Luogo dell’anima, buco nero del mio sentire, segreto
inconfessabile e tabù, biblioteca di affetti e fabbrica d’amore
sei stato, México, turbando per anni l’idea di me che mi ero
fatto su paure e dolori, uno specchio del cuore in cui ho pianto
e gridato ogni santo anno per settimane sante solo e isolato, e
a cercare solo io l’amore nel tuo amore negato.
Poema d’amore che si sbriciola adesso dopo inganni e
giravolte per giustificare al mondo ogni salto e bugia, ogni
apparenza, ogni estremo volere tra le viscere selvagge dei
tuoi amanti supremi. Primavera perenne nell’anima di chi ti
ha amato in fondo anche solo per errore. Agosto infuocato
da membri e libido, da seni e glutei che si rincorrono tra
parchi assolati e finestre da cui spiare caldi e perversi le
epidermidi odorose che sanno ancora di te in ogni dettaglio.
Apparso dal nulla, nell’ingombrante nulla scompari: come
lucina fioca o lampada agonizzante tra mille soli illuminati
di splendore, o come gioielli sfarzosi tra l’oro più giallo ed
arrogante. Piramide di luna ancora in sogno che si alimenta
di quei ricordi e baci in cui mito e memoria si accoppiano e
tradiscono. Come male e bene abbracciati tra loro, come
nero e bianco: l’uno complemento dell’altro. Come armonia
tra accordi in cui grave e acuto si uniscono per riappacificarsi
interamente col quel mondo che un tempo decise di separarci.
Perché morte e vita in te sono specchio e illusione di
un paradigma in cui esistenza e negazione si baciano
e respingono. Vita e morte che rovesciano valori e
sentimenti, sarcofagi aperti all’universo, e cerotti di
violenza che accecano il sentiero e lo spirito in salita.
Dimenticami, México: hai già ucciso quell’amore,
calpestato ogni eccelsa armonia, fioco ricordo di noi
che abbiamo amato dentro cornici impossibili da
assemblare, dentro fiumi improbabili da tracciare tra
mappe astrali e geografie irreali. Sei già morto da tempo,
angelo di fuoco: sei scomparso tra le ceneri e le scie di
sole che ci hanno unito un tempo tra le pieghe dei tuoi
ventagli, tra le fessure dei tuoi intagli, in cui entrambi
nascondemmo i segreti dei quei codici asfissiati da luci
immature. E dunque, meglio allora seppellire ogni
esperienza d’amore, meglio occultare al mondo quel
legame in cui i corpi aggrediti da abbracci fulgidi e violenti,
si disperderanno tra i niente e i domani, tra gli zero e il
passato, tra la memoria di oggetti e le foto che insieme
creammo dal nulla. E che nel nulla seppelliranno il ricordo
di quel ventuno febbraio duemilacinque al riparo da
ulteriori tempi e spazi d’universo.