opera
I am in, Baby
categoria | Pittura |
soggetto | Figura umana, Architettura |
tags | cinema, BabyDriver, EdgarWright, pittura, jacopodimastrogiovanni |
base | 80 cm |
altezza | 80 cm |
profondità | 2 cm |
anno | 2022 |
Acrilico e carte su tela.
"I'm in, Baby" è l’interpretazione di un fotogramma del film "Baby Driver" (2017) del regista britannico Edgar Wright e fa parte di un ciclo di lavori ispirati alle numerose pellicole che ho avuto modo di vedere (o ri-vedere) durante i mesi di chiusura dovuta all’emergenza sanitaria. Ho sempre nutrito una profonda passione per l’arte cinematografica; tuttavia, proprio il forzoso isolamento da lockdown mi ha dato modo di riprendere e approfondire la visione di capolavori che già conoscevo, nonché di imbattermi in realtà a me nuove, avviando così nuovi importanti spunti di riflessione.
In tal senso, la visione di questi film era diventata, assieme alla pittura, il principale canale di sfogo e di nutrimento artistico, in assenza pressoché totale di qualsiasi altro contatto sociale. Un modo per far viaggiare la testa a velocità altissima, con cambi di situazioni e prospettive tanto repentini quanto il passaggio da un film all’altro. Proprio nel momento in cui il mondo, al contrario, viveva una sospensione al limite del surreale.
La scelta delle pellicole, apparentemente casuale, in realtà rispondeva a precise linee di ricerca che – all’inizio inconsciamente, poi con sempre maggior consapevolezza – stavo cercando di sviluppare, nel tentativo di trovare punti di contatto tra il mio lavoro (e, quindi, me stesso) e i film di cui mi nutrivo così voracemente.
Attraverso il cinema, dunque, l’astinenza sociale si è tramutata in un modo per riflettere intimamente su me stesso. E scoprire, forse, qualcosa di ancora nuovo.
"I'm in, Baby" è l’interpretazione di un fotogramma del film "Baby Driver" (2017) del regista britannico Edgar Wright e fa parte di un ciclo di lavori ispirati alle numerose pellicole che ho avuto modo di vedere (o ri-vedere) durante i mesi di chiusura dovuta all’emergenza sanitaria. Ho sempre nutrito una profonda passione per l’arte cinematografica; tuttavia, proprio il forzoso isolamento da lockdown mi ha dato modo di riprendere e approfondire la visione di capolavori che già conoscevo, nonché di imbattermi in realtà a me nuove, avviando così nuovi importanti spunti di riflessione.
In tal senso, la visione di questi film era diventata, assieme alla pittura, il principale canale di sfogo e di nutrimento artistico, in assenza pressoché totale di qualsiasi altro contatto sociale. Un modo per far viaggiare la testa a velocità altissima, con cambi di situazioni e prospettive tanto repentini quanto il passaggio da un film all’altro. Proprio nel momento in cui il mondo, al contrario, viveva una sospensione al limite del surreale.
La scelta delle pellicole, apparentemente casuale, in realtà rispondeva a precise linee di ricerca che – all’inizio inconsciamente, poi con sempre maggior consapevolezza – stavo cercando di sviluppare, nel tentativo di trovare punti di contatto tra il mio lavoro (e, quindi, me stesso) e i film di cui mi nutrivo così voracemente.
Attraverso il cinema, dunque, l’astinenza sociale si è tramutata in un modo per riflettere intimamente su me stesso. E scoprire, forse, qualcosa di ancora nuovo.