opera
LA BESTIA
categoria | Scultura |
soggetto | Politico/Sociale |
tags | |
base | 78 cm |
altezza | 49 cm |
profondità | 54 cm |
anno | 2025 |
L'essere umano ha costruito il proprio potere sulla capacità di uccidere un suo simile.
In un'epoca in cui tutto deve essere filtrato, moderato, reso accettabile secondo i codici del
politicamente corretto, io scelgo consapevolmente di stare dalla parte opposta.
Il mio lavoro è politicamente scorretto perché non addolcisce il messaggio, non camuffa il conflitto,
non cerca consolazione.
Parla della società così com'è: cruda, diseguale, predatoria.
In un mondo dove l'anatomia è diventata linguaggio del controllo, mi domando: chi è davvero la
bestia?
L'uomo parla di civiltà, ma non ha mai smesso di decapitare i suoi simili nei campi di battaglia, nei
manicomi, nelle aule di tribunale.
L'uomo ha creato l'anatomia per misurare e dominare, ma ogni parte del corpo è diventata un'arma
o un bersaglio.
Il politicamente corretto cerca di disinnescare questo orrore. Io lo metto in mostra.
L'attualità ce lo ricorda ogni giorno.
A Gaza, interi quartieri sono stati rasi al suolo, corpi di civili e bambini diventano cifra politica,
oggetti di trattativa, oppure numeri da dimenticare.
Nel cuore dell'Europa, in Ucraina, la carne umana è di nuovo materia da modellare nel fango.
In questi conflitti, l'anatomia torna a essere campo di battaglia, la carne torna a essere punizione.
L'antropologa Margaret Mead considerava un femore rotto e poi guarito come il primo segno di
civiltà che differenziava l'uomo dall'animale, poiché una bestia in natura con un osso rotto è
destinata a morire.
Ma oggi, mentre l'umanità parla di cura, continua a produrre esclusione, violenza, abbandono. È davvero civiltà quella che costruiamo sulle ossa degli altri?
Il mio progetto nasce da questa frattura.
Ricostruisco un osso umano “iconico”, perfetto e riconoscibile, ma realizzato con ossa animali.
Un corpo umano che non è umano, ma che assume forma familiare.
Una struttura che replica il potere, ma ne smaschera la sostanza.
Il femore, osso del cammino, della stazione eretta, della civiltà, è fatto con ciò che macelliamo,
ignoriamo, usiamo come scarto.
Il materiale tradisce la forma.
L'apparenza rassicura, ma la sostanza inquieta.
È umano ciò che sembra umano? O è animale ciò che ci sostiene davvero?
È in questa ambiguità che si innesta il senso dell'opera: una riflessione scomoda, una
provocazione necessaria, un gesto scultoreo contro la retorica rassicurante della forma.
L’installazione è composta da un femore posto dentro ad una gabbia per animali, l’opera è
sospesa, retta da fili d’acciaio.
Appesa, sempre in bilico come la nostra civiltà: sempre con il rischio di crollare.
Perché se il fondamento è la violenza, il collasso è solo questione di tempo.
Chi è davvero la bestia da tenere in gabbia fra uomo e animale?
LA BESTIA è il nome che ho scelto per questo lavoro.
Perché non chiede scusa.
Perché non cerca consenso.
Perché non ha paura di chiamare bestia l’uomo
Materiali: ferro,ossa
In un'epoca in cui tutto deve essere filtrato, moderato, reso accettabile secondo i codici del
politicamente corretto, io scelgo consapevolmente di stare dalla parte opposta.
Il mio lavoro è politicamente scorretto perché non addolcisce il messaggio, non camuffa il conflitto,
non cerca consolazione.
Parla della società così com'è: cruda, diseguale, predatoria.
In un mondo dove l'anatomia è diventata linguaggio del controllo, mi domando: chi è davvero la
bestia?
L'uomo parla di civiltà, ma non ha mai smesso di decapitare i suoi simili nei campi di battaglia, nei
manicomi, nelle aule di tribunale.
L'uomo ha creato l'anatomia per misurare e dominare, ma ogni parte del corpo è diventata un'arma
o un bersaglio.
Il politicamente corretto cerca di disinnescare questo orrore. Io lo metto in mostra.
L'attualità ce lo ricorda ogni giorno.
A Gaza, interi quartieri sono stati rasi al suolo, corpi di civili e bambini diventano cifra politica,
oggetti di trattativa, oppure numeri da dimenticare.
Nel cuore dell'Europa, in Ucraina, la carne umana è di nuovo materia da modellare nel fango.
In questi conflitti, l'anatomia torna a essere campo di battaglia, la carne torna a essere punizione.
L'antropologa Margaret Mead considerava un femore rotto e poi guarito come il primo segno di
civiltà che differenziava l'uomo dall'animale, poiché una bestia in natura con un osso rotto è
destinata a morire.
Ma oggi, mentre l'umanità parla di cura, continua a produrre esclusione, violenza, abbandono. È davvero civiltà quella che costruiamo sulle ossa degli altri?
Il mio progetto nasce da questa frattura.
Ricostruisco un osso umano “iconico”, perfetto e riconoscibile, ma realizzato con ossa animali.
Un corpo umano che non è umano, ma che assume forma familiare.
Una struttura che replica il potere, ma ne smaschera la sostanza.
Il femore, osso del cammino, della stazione eretta, della civiltà, è fatto con ciò che macelliamo,
ignoriamo, usiamo come scarto.
Il materiale tradisce la forma.
L'apparenza rassicura, ma la sostanza inquieta.
È umano ciò che sembra umano? O è animale ciò che ci sostiene davvero?
È in questa ambiguità che si innesta il senso dell'opera: una riflessione scomoda, una
provocazione necessaria, un gesto scultoreo contro la retorica rassicurante della forma.
L’installazione è composta da un femore posto dentro ad una gabbia per animali, l’opera è
sospesa, retta da fili d’acciaio.
Appesa, sempre in bilico come la nostra civiltà: sempre con il rischio di crollare.
Perché se il fondamento è la violenza, il collasso è solo questione di tempo.
Chi è davvero la bestia da tenere in gabbia fra uomo e animale?
LA BESTIA è il nome che ho scelto per questo lavoro.
Perché non chiede scusa.
Perché non cerca consenso.
Perché non ha paura di chiamare bestia l’uomo
Materiali: ferro,ossa