opera
La Recherche
categoria | Performance |
soggetto | Politico/Sociale |
tags | |
minuti | 8 |
secondi | 40 |
anno | 2024 |
Il progetto vede l’artista cercare se stessa chiedendo per strada agli sconosciuti: “Scusi, lei è Luisa Turuani?”; la domanda viene incessantemente riproposta ai passanti in un viaggio fisico e poetico alla scoperta di se stessi e degli altri. Si tratta di una “life-time performance”, un gesto che si ripete senza mai trovare una risposta definitiva. Il progetto consiste perciò in un’azione che coinvolge il pubblico in prima persona: l’artista agisce nello spazio pubblico e i passanti sono co-autori di un’azione dal carattere eroico e al contempo fallimentare. L’autorialità dell’artista crolla così che l’azione diventi una sinfonia corale fatta di persone, luoghi, storie.
Da un punto di vista pratico, la performance viene realizzata e filmata in diversi contesti; attualmente il progetto ha coinvolto Milano, Venezia, Parigi, Genova, New York, le Chinatown di Milano e New York e continuerà con Amsterdam, Palermo e chissà ancora dove. Il mutamento del contesto temporale e spaziale determina un costante cambiamento del senso dell’azione e dell’identità che l’artista sta cercando: durante il carnevale, per esempio, le persone si trasvesto e provvisoriamente sono sia se stesse che una maschera; è quindi curioso che una signora mascherata abbia risposto alla domanda: “I don’t know who I want to be” riferendosi non a se stessa ma all’identità che momentaneamente sta impersonando. Al cimitero di Père-Lachaise a Parigi invece la ricerca chiama in causa i defunti, in particolare le celebrità del mondo della cultura come Proust, Gericault, Oscar Wilde. Le sculture, da oggetti inanimati, poeticamente prendono la parola tanto da dare ironici consigli e indicazioni. Il progetto fa emergere un’identità fluida che muta in relazione al contesto, al tempo e soprattutto grazie all’incontro con le persone.
La performance viene quindi svolta nello spazio pubblico grazie all’interazione diretta con le persone, totalmente ignare di far parte di un progetto collettivo. Le lingue utilizzate sono molteplici (italiano, francese, spagnolo, inglese, cinese, giapponese) e spesso volutamente in contraddizione con il luogo nel quale è realizzata l’azione. In alcuni casi, per esempio, l’artista parla in spagnolo in Italia e in francese a New York; in altri casi, come il cinese o il giapponese, è il sintetizzatore vocale a sostituire la voce dell’artista. Il mutamento di linguaggio ha l’obbiettivo di stimolare lo svilupparsi di nuove narrazioni e interpretazioni; diverse lingue innescano facilmente fraintendimenti, “errori”, punti di vista inediti. La performance viene filmata all’insaputa del pubblico per essere successivamente editata e fruita tramite uno o più video in bianco e nero. La domanda ‒“Scusi, lei è Luisa Turuani?” ‒viene incessantemente riproposta e le risposte dei passanti sono le più varie: da alcuni “no” lapidari si passa a fugaci conversazioni che fanno emergere dettagli della vita della persona chiamata in causa; altre persone tentano di capire quale sia il nesso tra se stessi e la sconosciuta a cui si pensa di somigliare; per ultimo, alcuni si cimentano nel risolvere la questione e tentano di trovare la persona scomparsa. La performance, dal carattere paradossale, racconta una storia e fa sì che la ricerca di una persona specifica si trasformi in un pretesto per incontrare infiniti sconosciuti e tracciarne un ritratto individuale e collettivo.
Apparentemente soggettiva, la ricerca dell’identità ha un orizzonte sociale e politico; essa è condivisibile da un punto di vista sia del metodo che del contenuto. La performance riflette e interroga l’osservatore riguardo diverse tematiche: l’idea di un’identità fluida che muta tramite l’incontro con il diverso; la possibilità che l’identità sia il frutto di una collettività; la ricerca come modus operandi da applicare a ogni ambito della vita; lo spazio pubblico come luogo di creazione e fruizione dell’arte; la negazione dell’autorialità dell’artista; l’inconsapevolezza pubblica riguardo la partecipazione a un progetto collettivo; il rapporto tra il singolo all’interno della collettività.
Il progetto nasce in parte da una riflessione critica rispetto alle piattaforme digitali di comunicazione; i social permettono di raggiungere chiunque in ogni parte del mondo tanto che sembra ovvio credere di conoscere effettivamente le persone di cui visualizziamo il profilo. Eppure tale conoscenza è estremamente superficiale e il contatto umano è sempre più difficile e faticoso. Il progetto non è un assurdo modo per rifiutare i social, ma è un’occasione per riflettere su ciò che sappiamo veramente o che crediamo di sapere.
Siamo una società sfinita dalla rincorsa di miti, eroi, modelli che ci indichino chi dobbiamo essere ed è quindi ormai facile delegare la nostra identità a politici, influencer o a chi riteniamo affidabile. Così facendo ci troviamo perfettamente coordinati e adatti al mondo che ci circonda. Eppure manca qualcosa… Il progetto nasce quindi dal desiderio di ricordare ciò che manca, ma soprattutto nasce dal desiderio di guardare con simpatia un’identità, un vuoto che deve rimanere tale.
Da un punto di vista pratico, la performance viene realizzata e filmata in diversi contesti; attualmente il progetto ha coinvolto Milano, Venezia, Parigi, Genova, New York, le Chinatown di Milano e New York e continuerà con Amsterdam, Palermo e chissà ancora dove. Il mutamento del contesto temporale e spaziale determina un costante cambiamento del senso dell’azione e dell’identità che l’artista sta cercando: durante il carnevale, per esempio, le persone si trasvesto e provvisoriamente sono sia se stesse che una maschera; è quindi curioso che una signora mascherata abbia risposto alla domanda: “I don’t know who I want to be” riferendosi non a se stessa ma all’identità che momentaneamente sta impersonando. Al cimitero di Père-Lachaise a Parigi invece la ricerca chiama in causa i defunti, in particolare le celebrità del mondo della cultura come Proust, Gericault, Oscar Wilde. Le sculture, da oggetti inanimati, poeticamente prendono la parola tanto da dare ironici consigli e indicazioni. Il progetto fa emergere un’identità fluida che muta in relazione al contesto, al tempo e soprattutto grazie all’incontro con le persone.
La performance viene quindi svolta nello spazio pubblico grazie all’interazione diretta con le persone, totalmente ignare di far parte di un progetto collettivo. Le lingue utilizzate sono molteplici (italiano, francese, spagnolo, inglese, cinese, giapponese) e spesso volutamente in contraddizione con il luogo nel quale è realizzata l’azione. In alcuni casi, per esempio, l’artista parla in spagnolo in Italia e in francese a New York; in altri casi, come il cinese o il giapponese, è il sintetizzatore vocale a sostituire la voce dell’artista. Il mutamento di linguaggio ha l’obbiettivo di stimolare lo svilupparsi di nuove narrazioni e interpretazioni; diverse lingue innescano facilmente fraintendimenti, “errori”, punti di vista inediti. La performance viene filmata all’insaputa del pubblico per essere successivamente editata e fruita tramite uno o più video in bianco e nero. La domanda ‒“Scusi, lei è Luisa Turuani?” ‒viene incessantemente riproposta e le risposte dei passanti sono le più varie: da alcuni “no” lapidari si passa a fugaci conversazioni che fanno emergere dettagli della vita della persona chiamata in causa; altre persone tentano di capire quale sia il nesso tra se stessi e la sconosciuta a cui si pensa di somigliare; per ultimo, alcuni si cimentano nel risolvere la questione e tentano di trovare la persona scomparsa. La performance, dal carattere paradossale, racconta una storia e fa sì che la ricerca di una persona specifica si trasformi in un pretesto per incontrare infiniti sconosciuti e tracciarne un ritratto individuale e collettivo.
Apparentemente soggettiva, la ricerca dell’identità ha un orizzonte sociale e politico; essa è condivisibile da un punto di vista sia del metodo che del contenuto. La performance riflette e interroga l’osservatore riguardo diverse tematiche: l’idea di un’identità fluida che muta tramite l’incontro con il diverso; la possibilità che l’identità sia il frutto di una collettività; la ricerca come modus operandi da applicare a ogni ambito della vita; lo spazio pubblico come luogo di creazione e fruizione dell’arte; la negazione dell’autorialità dell’artista; l’inconsapevolezza pubblica riguardo la partecipazione a un progetto collettivo; il rapporto tra il singolo all’interno della collettività.
Il progetto nasce in parte da una riflessione critica rispetto alle piattaforme digitali di comunicazione; i social permettono di raggiungere chiunque in ogni parte del mondo tanto che sembra ovvio credere di conoscere effettivamente le persone di cui visualizziamo il profilo. Eppure tale conoscenza è estremamente superficiale e il contatto umano è sempre più difficile e faticoso. Il progetto non è un assurdo modo per rifiutare i social, ma è un’occasione per riflettere su ciò che sappiamo veramente o che crediamo di sapere.
Siamo una società sfinita dalla rincorsa di miti, eroi, modelli che ci indichino chi dobbiamo essere ed è quindi ormai facile delegare la nostra identità a politici, influencer o a chi riteniamo affidabile. Così facendo ci troviamo perfettamente coordinati e adatti al mondo che ci circonda. Eppure manca qualcosa… Il progetto nasce quindi dal desiderio di ricordare ciò che manca, ma soprattutto nasce dal desiderio di guardare con simpatia un’identità, un vuoto che deve rimanere tale.