opera
Madre
categoria | Pittura |
soggetto | Figura umana |
tags | vergine, caravaggio, covid |
base | 120 cm |
altezza | 80 cm |
profondità | 4 cm |
anno | 2020 |
Acrilico su tela
Opera unica
Per me fare arte significa raccontare.
Come quando prima di conoscere l’alfabeto guardiamo le figure, ecco, cosi è la mia pittura: semplice, da osservare anche senza saper leggere. Parla di sogni fatti e di amori traditi, di gioie vere e dolori cupi, di cose successe e cose che potrebbero succedere.
Per raccontare queste emozioni uso i corpi come pagine di un diario da condividere.
Madre
La recente pandemia con il relativo lockdown ha stravolto per molte persone le quotidiane abitudini. Ha cambiato il modo di lavorare, di fare sport, lo svago, persino il nostro rapportarci con le persone. Ha chiuso scuole, cinema, teatri, gallerie d’arte, ha tenuto amori lontani, ha fatto nascere e crescere paure per la malattia in sé, per la perdita del lavoro, per i problemi economici, per l’incertezza del futuro. Le persone più fragili sono rimaste segnate. Ha portato sofferenza e morte. Nello stesso periodo, la mia mamma ha iniziato l’ultimo capitolo nel lungo racconto della sua esistenza. Ancora la stessa persona senza più essere la stessa persona, si è incamminata per una discesa che non lascia alternative, un fisiologico consumarsi di una candela accesa. Il desiderio di esternare ed elaborare questi due eventi simultanei mi ha fatto pensare alla Morte della Vergine di Caravaggio, opera dei primi anni del 1600 che, a suo tempo, aveva sovvertito i tradizionali canoni di questa rappresentazione. La mia Vergine, come aveva voluto Michelangelo Merisi, è donna, è umana, è persona reale. A differenza della celebre precedente, circondata e compianta da una serie di persone a lei vicine, è però sola, come chi in questo periodo muore di Covid19, come mia madre persa in qualche suo impenetrabile pensiero, come chi è separato dagli affetti. Ma resta umana
e sembra dormire. Accanto ha uno specchio, piccolo vezzo ed emblema di femminilità, forse usato per verificare la dipartita, forse testimone ultimo di un dialogo vis a vis con se stessi e con la propria coscienza, e comunque simbolo del doppio (Santa/donna, donna/sposa, sposa/madre), abbandonato tra le lenzuola, rende Santa la figura altrimenti anonima identificandola, ad uno sguardo attento, con l’aureola che si crea grazie alla luce radente del sole che entra nella stanza attraverso una finestra, riflessa sul muro di fondo.
Opera unica
Per me fare arte significa raccontare.
Come quando prima di conoscere l’alfabeto guardiamo le figure, ecco, cosi è la mia pittura: semplice, da osservare anche senza saper leggere. Parla di sogni fatti e di amori traditi, di gioie vere e dolori cupi, di cose successe e cose che potrebbero succedere.
Per raccontare queste emozioni uso i corpi come pagine di un diario da condividere.
Madre
La recente pandemia con il relativo lockdown ha stravolto per molte persone le quotidiane abitudini. Ha cambiato il modo di lavorare, di fare sport, lo svago, persino il nostro rapportarci con le persone. Ha chiuso scuole, cinema, teatri, gallerie d’arte, ha tenuto amori lontani, ha fatto nascere e crescere paure per la malattia in sé, per la perdita del lavoro, per i problemi economici, per l’incertezza del futuro. Le persone più fragili sono rimaste segnate. Ha portato sofferenza e morte. Nello stesso periodo, la mia mamma ha iniziato l’ultimo capitolo nel lungo racconto della sua esistenza. Ancora la stessa persona senza più essere la stessa persona, si è incamminata per una discesa che non lascia alternative, un fisiologico consumarsi di una candela accesa. Il desiderio di esternare ed elaborare questi due eventi simultanei mi ha fatto pensare alla Morte della Vergine di Caravaggio, opera dei primi anni del 1600 che, a suo tempo, aveva sovvertito i tradizionali canoni di questa rappresentazione. La mia Vergine, come aveva voluto Michelangelo Merisi, è donna, è umana, è persona reale. A differenza della celebre precedente, circondata e compianta da una serie di persone a lei vicine, è però sola, come chi in questo periodo muore di Covid19, come mia madre persa in qualche suo impenetrabile pensiero, come chi è separato dagli affetti. Ma resta umana
e sembra dormire. Accanto ha uno specchio, piccolo vezzo ed emblema di femminilità, forse usato per verificare la dipartita, forse testimone ultimo di un dialogo vis a vis con se stessi e con la propria coscienza, e comunque simbolo del doppio (Santa/donna, donna/sposa, sposa/madre), abbandonato tra le lenzuola, rende Santa la figura altrimenti anonima identificandola, ad uno sguardo attento, con l’aureola che si crea grazie alla luce radente del sole che entra nella stanza attraverso una finestra, riflessa sul muro di fondo.