opera
Quì e Poi Altrove
categoria | Installazione |
soggetto | Astratto |
tags | |
base | 200 cm |
altezza | 400 cm |
profondità | 400 cm |
anno | 2021 |
Tecnica: installazione e pittura
Spesso prendo consapevolezza della staticità che pervade il mio corpo. Esso è come il mio abito, mi condanna come ad un luogo fisso, ad uno spazio circoscritto ed insuperabile che corrisponde sempre al suo. Non posso cambiare luogo senza di lui, non posso lasciarlo quì e andarmene altrove. Ma nel momento in cui mi rendo conto di questa condizione, inizio a rivolgere la mia attenzione verso di esso: inizio a muoverlo, a sentirlo e percepirlo sia esternamente che interiormente. È proprio mettendolo in moto, scuotendolo ed agitandolo che posso andare in altro luogo, rinnovare me stessa, attivando un’evoluzione che si perpetua ogni qual volta sento la necessità di trasformare il senso di oggettività pesante che mi rende statica e fissa. In questo modo tutto comincia a prendere vita.
Il corpo diviene così spazio espressivo, origine di tutti gli altri spazi. Da esso prendono vita e si diramano una serie di dimensioni altre che crescono grazie ed attorno a lui. Si innesca un’espressione della possibilità, di una continua rigenerazione capace di manifestarsi da un sovrapporsi dell’azione stessa.
Una traccia decisa ed insistente viene incisa per il tramite di un mutuo contatto tra il mio corpo e lo spazio attraversato. Lo skateboard diviene in questo caso il medium, protesi corporea, che mi permette di attuare questa spostamento ed andare altrove. L’atto non va a coinvolgere solo la componente fisica, ma anche quella più interna, emotiva, mentale: una proiezione della propria identità al di fuori di sè attraverso la tavola, verso lo spazio contiguo. Un fiume di movimenti, immagini, immaginari, fantasie che emergono ma che permangono per come si presentano solo per qualche istante; l’istante successivo saranno già proiezioni diverse entrate all’interno di un flusso di trasformazione, decostruzione e ricostruzione continua.
In questo senso, il corpo diviene come un punto di accesso al regno dell’essere. Lo spazio va ad assorbire le realtà mi appartengono e che si rivelano nel mentre che sono in movimento. I segni divengono rappresentativi di un serbatoio energetico, di uscire dal luogo stesso, di emergere in modo silenzioso segno dopo segno. Sono tracce colme di vita, di piccoli avvenimenti.
È un vero e proprio linguaggio, una traccia energetica che diventa immagine.
Spesso prendo consapevolezza della staticità che pervade il mio corpo. Esso è come il mio abito, mi condanna come ad un luogo fisso, ad uno spazio circoscritto ed insuperabile che corrisponde sempre al suo. Non posso cambiare luogo senza di lui, non posso lasciarlo quì e andarmene altrove. Ma nel momento in cui mi rendo conto di questa condizione, inizio a rivolgere la mia attenzione verso di esso: inizio a muoverlo, a sentirlo e percepirlo sia esternamente che interiormente. È proprio mettendolo in moto, scuotendolo ed agitandolo che posso andare in altro luogo, rinnovare me stessa, attivando un’evoluzione che si perpetua ogni qual volta sento la necessità di trasformare il senso di oggettività pesante che mi rende statica e fissa. In questo modo tutto comincia a prendere vita.
Il corpo diviene così spazio espressivo, origine di tutti gli altri spazi. Da esso prendono vita e si diramano una serie di dimensioni altre che crescono grazie ed attorno a lui. Si innesca un’espressione della possibilità, di una continua rigenerazione capace di manifestarsi da un sovrapporsi dell’azione stessa.
Una traccia decisa ed insistente viene incisa per il tramite di un mutuo contatto tra il mio corpo e lo spazio attraversato. Lo skateboard diviene in questo caso il medium, protesi corporea, che mi permette di attuare questa spostamento ed andare altrove. L’atto non va a coinvolgere solo la componente fisica, ma anche quella più interna, emotiva, mentale: una proiezione della propria identità al di fuori di sè attraverso la tavola, verso lo spazio contiguo. Un fiume di movimenti, immagini, immaginari, fantasie che emergono ma che permangono per come si presentano solo per qualche istante; l’istante successivo saranno già proiezioni diverse entrate all’interno di un flusso di trasformazione, decostruzione e ricostruzione continua.
In questo senso, il corpo diviene come un punto di accesso al regno dell’essere. Lo spazio va ad assorbire le realtà mi appartengono e che si rivelano nel mentre che sono in movimento. I segni divengono rappresentativi di un serbatoio energetico, di uscire dal luogo stesso, di emergere in modo silenzioso segno dopo segno. Sono tracce colme di vita, di piccoli avvenimenti.
È un vero e proprio linguaggio, una traccia energetica che diventa immagine.