Nato nel 1967 , Salvatore Balice si forma a Londra come architectural interior designer .
Approfondirà in seguito le tecniche di fotografia e pittura unitamente alla scultura.
Alla progettazione e alla realizzazione di arredi artistici ( functional art and collectible art-furniture)
unirà la fotografia, la pittura e la scultura, esprimendosi così come artista interdisciplinare.
Nel corso della sua carriera userà lo pseudonimo “Salva”.
Dal 2012 vive e lavora a Bari, Italia.
Del suo percorso artistico e di vita racconta:
“Tutti i miei lavori vanno al di là del carattere puramente mondano fenomenico dell’espressione.
Essi sono il prodotto di una ricerca individuale che porto avanti da più di vent’anni, dove l’intuizione diretta della cosa stessa, cioè dell’essenza, è la mia unica (non)meta.
Come un bambù cavo all’interno, faccio spazio dentro di me per ascoltare ciò che senza suono risuona sovrastando la voce del frastuono, per non più visitare ma essere visitato, specie dal silenzio …
Citando Carlo Sini su Derrida: “non si può dire quel che si ha da dire perché vuol dire che ogni dire è già uno scritto, è già una scrittura che originariamente tace, che non ha archè, non ha principio; si radica nel non poter, non voler, non aver da dire”.
Dell’immagine mi interessa l’alone, della struttura l’impermanenza.”
Approfondirà in seguito le tecniche di fotografia e pittura unitamente alla scultura.
Alla progettazione e alla realizzazione di arredi artistici ( functional art and collectible art-furniture)
unirà la fotografia, la pittura e la scultura, esprimendosi così come artista interdisciplinare.
Nel corso della sua carriera userà lo pseudonimo “Salva”.
Dal 2012 vive e lavora a Bari, Italia.
Del suo percorso artistico e di vita racconta:
“Tutti i miei lavori vanno al di là del carattere puramente mondano fenomenico dell’espressione.
Essi sono il prodotto di una ricerca individuale che porto avanti da più di vent’anni, dove l’intuizione diretta della cosa stessa, cioè dell’essenza, è la mia unica (non)meta.
Come un bambù cavo all’interno, faccio spazio dentro di me per ascoltare ciò che senza suono risuona sovrastando la voce del frastuono, per non più visitare ma essere visitato, specie dal silenzio …
Citando Carlo Sini su Derrida: “non si può dire quel che si ha da dire perché vuol dire che ogni dire è già uno scritto, è già una scrittura che originariamente tace, che non ha archè, non ha principio; si radica nel non poter, non voler, non aver da dire”.
Dell’immagine mi interessa l’alone, della struttura l’impermanenza.”