“[...]Il personaggio si disperde in frammenti al giorno d’oggi”, così Virginia Woolf risponde alla critica che le era stata fatta al romanzo La stanza di Jacob, ”la gente dice che io non so creare [...] personaggi che sopravvivano”. Ciò che mi interessa indagare è l’idea dell’identità in quanto ispseità, secondo la definizione di Paul Ricoeur: quella che segue un aspetto narrativo e che si modifica ogni volta che il soggetto costruisce un racconto di sé. Se questo era vero già all’epoca di Virginia Woolf, figuriamoci oggi dai Social network a Netflix cosa succede tra reale e immaginario, ci troviamo sempre di più di fronte alla problematica di doverci definire: “creare un profilo”. L’atto del leggere mi interessa perchè si iscrive nel tempo; forse, per questa caratteristica temporale, lo si può paragonare ad una serie televisiva, ci accompagna e durante questo frangente viviamo parallelamente la nostra vita mischiandola delle volte con quella di un personaggio immaginario.
Il mio lavoro è composto da una serie di esperimenti che cercano sempre di più di costruire dei ponti tra realtà e racconto. L’immaginario di una natura sintetica a cui faccio ricorso, tra collages e piante Ikea, vuole raccontare questa realtà sublimata e istantanea dove tutto sembra proteso verso la domanda ”Dove ci incontreremo?” Sarà infatti l’altro a poter definirci, un altro specchio rotto che ci divide in frammenti.
Il mio lavoro è composto da una serie di esperimenti che cercano sempre di più di costruire dei ponti tra realtà e racconto. L’immaginario di una natura sintetica a cui faccio ricorso, tra collages e piante Ikea, vuole raccontare questa realtà sublimata e istantanea dove tutto sembra proteso verso la domanda ”Dove ci incontreremo?” Sarà infatti l’altro a poter definirci, un altro specchio rotto che ci divide in frammenti.