opera
Mirror
categoria | Installazione |
soggetto | Figura umana, Astratto, Architettura |
tags | |
base | 60 cm |
altezza | 60 cm |
profondità | 5 cm |
anno | 2020 |
Stampa serigrafica su plexiglas, pellicola riflettente, one-board computer, modulo fotocamera, batterie e alimentazione esterna. Opera unica.
Da Van Eyck a Anish Kapoor, passando per Velasquez, Escher, Roy Lichtenstein e Michelangelo Pistoletto, gli specchi sono da sempre uno dei temi più interessanti di un’arte che può considerarsi - in un’accezione ampia del termine - concettuale. Molti di questi artisti hanno giocato sul fatto che le rappresentazioni di superfici riflettenti, per quanto possano darne l’impressione, non sono capaci di specchiare davvero.
La superficie sferica riflettente di Mirror è solo una rappresentazione, ma porta l’imitazione del riflesso su due livelli differenti. Innanzitutto è un’opera rigidamente site-specific. Per essere terminata deve essere infatti deciso il luogo in cui sarà esposta. Sulla finta superficie della sfera serigrafata viene infatti riprodotto un riflesso dell’ambiente circostante. L’immagine, oltre ad essere cronologicamente la prima esperienza che si crea tra lo spettatore e l’opera, ha anche la funzione di essere un marcatore per un’applicazione AR sviluppata per lo scopo (parte integrante dell’opera). Inquadrando l’immagine con il cellulare, è infatti possibile visualizzare una versione digitale della sfera in 3d, completamente immersa nell’ambiente in cui ci troviamo. Di fatto, l'immagine è diventata una scultura digitale.
L’immagine riflessa nella versione digitale di Mirror ha quindi una particolarità: lo spettatore non vede se stesso ma spettatori che erano esattamente in quel luogo prima di lui, ad osservare l’opera sia ad occhio nudo che con l’ausilio di dispositivi. Questi “sguardi sul passato” sono infatti catturati di volta in volta dalla fotocamera nascosta all’interno del quadro, che filma gli spettatori e carica online i video in modo da renderli fruibili dall’app. Una dimostrazione di come l’arte possa, attraverso la tecnologia, permettere allo spettatore di dispiegare le tante dimensioni racchiuse nello spazio e nel tempo.
Da Van Eyck a Anish Kapoor, passando per Velasquez, Escher, Roy Lichtenstein e Michelangelo Pistoletto, gli specchi sono da sempre uno dei temi più interessanti di un’arte che può considerarsi - in un’accezione ampia del termine - concettuale. Molti di questi artisti hanno giocato sul fatto che le rappresentazioni di superfici riflettenti, per quanto possano darne l’impressione, non sono capaci di specchiare davvero.
La superficie sferica riflettente di Mirror è solo una rappresentazione, ma porta l’imitazione del riflesso su due livelli differenti. Innanzitutto è un’opera rigidamente site-specific. Per essere terminata deve essere infatti deciso il luogo in cui sarà esposta. Sulla finta superficie della sfera serigrafata viene infatti riprodotto un riflesso dell’ambiente circostante. L’immagine, oltre ad essere cronologicamente la prima esperienza che si crea tra lo spettatore e l’opera, ha anche la funzione di essere un marcatore per un’applicazione AR sviluppata per lo scopo (parte integrante dell’opera). Inquadrando l’immagine con il cellulare, è infatti possibile visualizzare una versione digitale della sfera in 3d, completamente immersa nell’ambiente in cui ci troviamo. Di fatto, l'immagine è diventata una scultura digitale.
L’immagine riflessa nella versione digitale di Mirror ha quindi una particolarità: lo spettatore non vede se stesso ma spettatori che erano esattamente in quel luogo prima di lui, ad osservare l’opera sia ad occhio nudo che con l’ausilio di dispositivi. Questi “sguardi sul passato” sono infatti catturati di volta in volta dalla fotocamera nascosta all’interno del quadro, che filma gli spettatori e carica online i video in modo da renderli fruibili dall’app. Una dimostrazione di come l’arte possa, attraverso la tecnologia, permettere allo spettatore di dispiegare le tante dimensioni racchiuse nello spazio e nel tempo.