La mia ricerca nasce dal desiderio di dare forma al legame invisibile che unisce generazioni, memorie e tracce. Attraverso le tessere dei cruciverba — compilati da mia madre e poi trasmutati in opere — costruisco immagini e percorsi narrativi in cui le parole si trasformano in segni, fili e labirinti. Così ciò che era un esercizio intimo rimane codice, ma assume nuovi significati, aprendosi a una dimensione collettiva.
Indago le radici genealogiche come eredità viva: mani, volti e presenze familiari diventano materia di un discorso che intreccia memoria e DNA, tradizione e necessità di rinnovamento. Credo che le radici vadano onorate, ma anche liberate dai condizionamenti che ostacolano la crescita, affinché il passato possa generare un futuro autentico.
Il mio metodo è meticoloso, quasi alchemico: seleziono, ricompongo, suturo segni e frammenti come in un processo di guarigione simbolica. Nelle mie installazioni e nei miei collage, ciò che era scarto o dimenticanza si trasforma in trama viva, capace di raccontare storie nuove. In Spazio Sacro Verbum, tre pezzi di tappeti rivestiti con cruciverba si uniscono a ricostruire idealmente la superficie della mia cameretta d’infanzia (5 x 4 m), luogo intimo che diventa memoria condivisa. In Gomitolo (fili di cruciverba raggomitolati) , il filo non è solo orientamento: è bussola, guida, ma anche intreccio caotico che custodisce e confonde, costringendo a perdersi per poi ritrovarsi.
Credo che ogni oggetto, anche il più umile, contenga informazioni e memorie, anche se non sempre siamo in grado di decifrarle. Forse questa attenzione al dettaglio invisibile proviene dalla mia esperienza in laboratorio chimico-biologico: ciò che osservavo al microscopio, le forme di vita minuscole e sorprendenti, rivive oggi nei miei mosaici di tesserine, che si fanno microcosmi in cui riconoscere trame vitali.
Accanto a questo, sento la responsabilità etica di un fare arte che non sia consumo, ma trasformazione: utilizzo materiali di recupero, limito l’impatto sull’ambiente e cerco di restituire senso anche a ciò che sembrava destinato all’oblio.
Indago le radici genealogiche come eredità viva: mani, volti e presenze familiari diventano materia di un discorso che intreccia memoria e DNA, tradizione e necessità di rinnovamento. Credo che le radici vadano onorate, ma anche liberate dai condizionamenti che ostacolano la crescita, affinché il passato possa generare un futuro autentico.
Il mio metodo è meticoloso, quasi alchemico: seleziono, ricompongo, suturo segni e frammenti come in un processo di guarigione simbolica. Nelle mie installazioni e nei miei collage, ciò che era scarto o dimenticanza si trasforma in trama viva, capace di raccontare storie nuove. In Spazio Sacro Verbum, tre pezzi di tappeti rivestiti con cruciverba si uniscono a ricostruire idealmente la superficie della mia cameretta d’infanzia (5 x 4 m), luogo intimo che diventa memoria condivisa. In Gomitolo (fili di cruciverba raggomitolati) , il filo non è solo orientamento: è bussola, guida, ma anche intreccio caotico che custodisce e confonde, costringendo a perdersi per poi ritrovarsi.
Credo che ogni oggetto, anche il più umile, contenga informazioni e memorie, anche se non sempre siamo in grado di decifrarle. Forse questa attenzione al dettaglio invisibile proviene dalla mia esperienza in laboratorio chimico-biologico: ciò che osservavo al microscopio, le forme di vita minuscole e sorprendenti, rivive oggi nei miei mosaici di tesserine, che si fanno microcosmi in cui riconoscere trame vitali.
Accanto a questo, sento la responsabilità etica di un fare arte che non sia consumo, ma trasformazione: utilizzo materiali di recupero, limito l’impatto sull’ambiente e cerco di restituire senso anche a ciò che sembrava destinato all’oblio.