Parlo della morte. Parlo del disfacimento delle memorie, dell’inutilità dell’accumulo, degli antenati che si dissolvono. Parlo della malinconia a cui siamo destinati, del deterioramento delle nostre individualità e della nostra personale storia (così importante per ciascuno di noi ma così inutile nell’economia dell’universo).
Parlo dei disturbi di personalità, delle patologie psichiatriche, di famiglie nevrotiche e anaffettive, di attacchi di panico, di solitudine. Della fobia sociale che priva della parola e che ti scafandra nella vergogna e nell’imbarazzo. Della necessità di riordinare e ordinare il caos, di disciplinarsi, di pianificare, di organizzare in forma ossessiva.
Ma parlo anche di quanto lasciamo ai posteri. Dell’etica che, nonostante l’incessante e talvolta opprimente senso di vacuità, non deve venire meno. In questo si inserisce la mia strenua volontà, anche nell’ambito della produzione artistica, di limitare i consumi, di utilizzare materiali di scarto, di evitare per quanto è possibile di inquinare e danneggiare il pianeta.
Da sempre sono attratta dai processi rigenerativi, quasi un’antitesi al decomporsi delle cose: ridare vita all’irrecuperabile, trasfigurare rifiuti, dare dignità a vecchi averi è un fare che mi appartiene e che esercito da sempre anche nel mio lavoro artistico.
Utilizzo vecchi teli di canapa, macchie, trattini ossessivi, fili di juta e fili di seta rossa, pezzi di metallo corrosi, cocci di terracotta, carte dorate di cioccolatino, brani di libri che nessuno legge più…
Parlo dei disturbi di personalità, delle patologie psichiatriche, di famiglie nevrotiche e anaffettive, di attacchi di panico, di solitudine. Della fobia sociale che priva della parola e che ti scafandra nella vergogna e nell’imbarazzo. Della necessità di riordinare e ordinare il caos, di disciplinarsi, di pianificare, di organizzare in forma ossessiva.
Ma parlo anche di quanto lasciamo ai posteri. Dell’etica che, nonostante l’incessante e talvolta opprimente senso di vacuità, non deve venire meno. In questo si inserisce la mia strenua volontà, anche nell’ambito della produzione artistica, di limitare i consumi, di utilizzare materiali di scarto, di evitare per quanto è possibile di inquinare e danneggiare il pianeta.
Da sempre sono attratta dai processi rigenerativi, quasi un’antitesi al decomporsi delle cose: ridare vita all’irrecuperabile, trasfigurare rifiuti, dare dignità a vecchi averi è un fare che mi appartiene e che esercito da sempre anche nel mio lavoro artistico.
Utilizzo vecchi teli di canapa, macchie, trattini ossessivi, fili di juta e fili di seta rossa, pezzi di metallo corrosi, cocci di terracotta, carte dorate di cioccolatino, brani di libri che nessuno legge più…