opera
Dimenticanze (7-8-9) 8 DImenticare gli occhi
categoria | Altro |
soggetto | Politico/Sociale, Astratto |
tags | ansia, #dipendenzaaffettiva, dimenticanze |
base | 40 cm |
altezza | 30 cm |
profondità | 1 cm |
anno | 2020 |
Dimenticanze è una narrazione in 15 episodi realizzati dal 2017 al 2019.
Si compone di 15 opere, 10 delle quali corrispondono a 10 episodi la cui tematica è l’assenza e di 5 episodi specifici sulla maternità. E’ una narrazione trasformatrice, un’ elaborazione per immagini dell’ansia. Il fil rouge che lega le opere è la volontà di sublimare il dolore della perdita di una parte di se’ che comporta ogni attacco di panico e prendere consapevolezza delle metamorfosi di quel faticoso momento di transizione.
Lo scopo non era chiaro sin dal principio ma è divenuto un cammino da compiere in sinergia col gesto artistico a mano a mano che la narrazione prendeva forma. Il topos narrativo dei primi episodi è sicuramente la volontà di nascondere, con vomiti di lacrime e pioggia nera, ciò che si configura come la massima espressione della sofferenza dello smarrimento nell’attacco di panico, quindi la propria assenza dinnanzi a se’. La narrazione, poi, si allarga e va ad abbracciare anche l’assenza dell’altro da se’, quindi la perdita. E l’assenza, inizialmente, trova una sua collocazione solo nell’immagine e non nella parola, perché appunto l’assenza non è, eppure è qualcosa di ingombrante che occupa lo spazio senza esserci. La sua rappresentazione non può essere spiegata a parole ma va vissuta entrando nella sua raffigurazione.
Il climax ascendente di gesti che velano tutto ciò che ricorda la presenza, ma che si palesa solo nel vissuto dell’assenza, culmina in veri attacchi violenti alle tele, sbrandellanti la realtà personale dell’autore, forti come gli attacchi di panico testimoniati dalle foto di cui si compongono alcune opere: lì, l’artista, da spettatore assente della sua angoscia, diventa protagonista assoluto, diventa presenza. Ossessivi occhi tormentano la tela come angosciano la mente di chi vive la perdita con un’intensità tale da non trovare spazio interiore per altro. Ciò che resta delle pagine e delle foto originarie è solo una voce sommessa, a tratti percettibile, nascosta sotto la facciata delle colature. E sotto le colature si nascondono lettere, ricordi, poesie, a cui si cancellano le parole: esse non hanno alcuna funzione nel testo poetico, l’assenza non si lascia descrivere. Quello che rimane è solo la pseudo-biografia dell’assenza che si fonda sulla considerazione dell’impossibilità di una autentica narrazione del dolore con una focalizzazione esterna. Occorre esserci dentro : l’assenza è uno spettacolo che non può essere visto da lontano. Lo spettatore può prendere parte alla tragedia insita nel dolore solo con il proprio sguardo ma la narrazione resterà monca.
Per cui il campo si restringe, con movimento centripeto: la narrazione passa dall’esterno, in cui il dolore è muto e non trova espressione, ad essere autocentrato, con una forte presenza dell’artista, e universale, reso corale dallo sguardo dello spettatore. Dall’immagine delle lettere e delle pagine, si passa al corpo. Dal colore si passa al sangue. Si teatralizza, così, la fecondità come capacità di procreare e la fertilità come capacità di generare. Se nell’attacco di panico è la sensazione di morte a trionfare sulla vita, l’eternità ora sovrasta incontrastata e trionfa. Pur crocifiggendo e mettendo al muro l’autrice stessa, condannata per sua propria natura a riproporre in eterno i suoi cicli d’ansia e a doversi allontanare da se’ per trasformarsi, qui si ribadisce la presenza al cospetto del proprio sangue mestruale. E’ il sangue che rende il corpo presenza. La commistione tra l’opera e l’ autore è completa: il corpo e il sangue dell’autore sono stati immolati sull’altare dell’arte.
Il pubblico può rientrare all’interno della narrazione. Trasformato.
Si compone di 15 opere, 10 delle quali corrispondono a 10 episodi la cui tematica è l’assenza e di 5 episodi specifici sulla maternità. E’ una narrazione trasformatrice, un’ elaborazione per immagini dell’ansia. Il fil rouge che lega le opere è la volontà di sublimare il dolore della perdita di una parte di se’ che comporta ogni attacco di panico e prendere consapevolezza delle metamorfosi di quel faticoso momento di transizione.
Lo scopo non era chiaro sin dal principio ma è divenuto un cammino da compiere in sinergia col gesto artistico a mano a mano che la narrazione prendeva forma. Il topos narrativo dei primi episodi è sicuramente la volontà di nascondere, con vomiti di lacrime e pioggia nera, ciò che si configura come la massima espressione della sofferenza dello smarrimento nell’attacco di panico, quindi la propria assenza dinnanzi a se’. La narrazione, poi, si allarga e va ad abbracciare anche l’assenza dell’altro da se’, quindi la perdita. E l’assenza, inizialmente, trova una sua collocazione solo nell’immagine e non nella parola, perché appunto l’assenza non è, eppure è qualcosa di ingombrante che occupa lo spazio senza esserci. La sua rappresentazione non può essere spiegata a parole ma va vissuta entrando nella sua raffigurazione.
Il climax ascendente di gesti che velano tutto ciò che ricorda la presenza, ma che si palesa solo nel vissuto dell’assenza, culmina in veri attacchi violenti alle tele, sbrandellanti la realtà personale dell’autore, forti come gli attacchi di panico testimoniati dalle foto di cui si compongono alcune opere: lì, l’artista, da spettatore assente della sua angoscia, diventa protagonista assoluto, diventa presenza. Ossessivi occhi tormentano la tela come angosciano la mente di chi vive la perdita con un’intensità tale da non trovare spazio interiore per altro. Ciò che resta delle pagine e delle foto originarie è solo una voce sommessa, a tratti percettibile, nascosta sotto la facciata delle colature. E sotto le colature si nascondono lettere, ricordi, poesie, a cui si cancellano le parole: esse non hanno alcuna funzione nel testo poetico, l’assenza non si lascia descrivere. Quello che rimane è solo la pseudo-biografia dell’assenza che si fonda sulla considerazione dell’impossibilità di una autentica narrazione del dolore con una focalizzazione esterna. Occorre esserci dentro : l’assenza è uno spettacolo che non può essere visto da lontano. Lo spettatore può prendere parte alla tragedia insita nel dolore solo con il proprio sguardo ma la narrazione resterà monca.
Per cui il campo si restringe, con movimento centripeto: la narrazione passa dall’esterno, in cui il dolore è muto e non trova espressione, ad essere autocentrato, con una forte presenza dell’artista, e universale, reso corale dallo sguardo dello spettatore. Dall’immagine delle lettere e delle pagine, si passa al corpo. Dal colore si passa al sangue. Si teatralizza, così, la fecondità come capacità di procreare e la fertilità come capacità di generare. Se nell’attacco di panico è la sensazione di morte a trionfare sulla vita, l’eternità ora sovrasta incontrastata e trionfa. Pur crocifiggendo e mettendo al muro l’autrice stessa, condannata per sua propria natura a riproporre in eterno i suoi cicli d’ansia e a doversi allontanare da se’ per trasformarsi, qui si ribadisce la presenza al cospetto del proprio sangue mestruale. E’ il sangue che rende il corpo presenza. La commistione tra l’opera e l’ autore è completa: il corpo e il sangue dell’autore sono stati immolati sull’altare dell’arte.
Il pubblico può rientrare all’interno della narrazione. Trasformato.