opera
The Digital Skin Series
categoria | Fotografia |
soggetto | Figura umana |
tags | tecnologia, 3d scanning, metafotografia, digital photography, ritratto |
base | 150 cm |
altezza | 115 cm |
profondità | 0 cm |
anno | 2016 |
The Digital Skin Series, 2016. Stampa a sublimazione su alluminio. 18 elementi. X:150; Y:115 cm, ciascuno. Edizione di 3
The Digital Skin Series è composta da autoritratti in cui indosso la “pelle digitale” di sconosciuti che ho incontrato e fotografato utilizzando una macchina modificata ad altissima risoluzione. Ho poi utilizzato uno scanner 3D per ottenere un modello tridimensionale della mia faccia e vi ho applicato le foto scattate come fossero un ulteriore strato. Il risultato è una serie di fotografie in cui bidimensionalità e tridimensionalità vengono forzate a coesistere in modo intimo e imprevedibile.
Miti e leggende sulla pelle sono parte integrante delle più disparate culture, e sono sempre legati in modo simbolico a radicali metamorfosi biologiche. Per esempio, per i Navajo del Nord America, (i quali consideravano la pelle al pari di una maschera), bastava incrociare gli occhi con quelli di uno skinwalker ed esso si sarebbe proiettato all’interno del corpo della vittima rubandone l’aspetto esteriore. Nella network society contemporanea, i corpi hanno abbandonato quel tipo di condizione organica e vengono caratterizzati da nuovi stati transitivi: gli individui sono diventati divisibili, scomponibili in aggregati di dati e segnali. La nostra pelle, ultimo grado di separazione tra noi e il mondo, è divenuta una membrana transiente che cambia di pari passo con le nostre forme trans- e meta- umane. Lo spazio culturale che era occupato dagli skinwalkers di ogni cultura è oggi occupato da infinite mediazioni e riconfigurazioni. Quel che significa essere umani resta comunque invariato: scivolare attraverso mutazioni generative, corruzioni e degenerazioni che rifuggono da ogni chiara categorizzazione.
The Digital Skin Series è composta da autoritratti in cui indosso la “pelle digitale” di sconosciuti che ho incontrato e fotografato utilizzando una macchina modificata ad altissima risoluzione. Ho poi utilizzato uno scanner 3D per ottenere un modello tridimensionale della mia faccia e vi ho applicato le foto scattate come fossero un ulteriore strato. Il risultato è una serie di fotografie in cui bidimensionalità e tridimensionalità vengono forzate a coesistere in modo intimo e imprevedibile.
Miti e leggende sulla pelle sono parte integrante delle più disparate culture, e sono sempre legati in modo simbolico a radicali metamorfosi biologiche. Per esempio, per i Navajo del Nord America, (i quali consideravano la pelle al pari di una maschera), bastava incrociare gli occhi con quelli di uno skinwalker ed esso si sarebbe proiettato all’interno del corpo della vittima rubandone l’aspetto esteriore. Nella network society contemporanea, i corpi hanno abbandonato quel tipo di condizione organica e vengono caratterizzati da nuovi stati transitivi: gli individui sono diventati divisibili, scomponibili in aggregati di dati e segnali. La nostra pelle, ultimo grado di separazione tra noi e il mondo, è divenuta una membrana transiente che cambia di pari passo con le nostre forme trans- e meta- umane. Lo spazio culturale che era occupato dagli skinwalkers di ogni cultura è oggi occupato da infinite mediazioni e riconfigurazioni. Quel che significa essere umani resta comunque invariato: scivolare attraverso mutazioni generative, corruzioni e degenerazioni che rifuggono da ogni chiara categorizzazione.