opera
Trittico della Diaspora, o sulla Dispersione (Sis, Deir el-Zor, Ararat)
categoria | Pittura |
soggetto | Politico/Sociale, Figura umana |
tags | |
base | 105 cm |
altezza | 50 cm |
profondità | 0 cm |
anno | 2019 |
Tecnica mista su tavola (pastello, acrilico, filo)
All'interno del trittico, ogni dipinto ha un nome specifico, i quali identificano luoghi geografici ben precisi e che susseguendosi, tracciano un percorso geo-temporale che ricopre alcune delle pagine più buie della storia del popolo Armeno. A partire da Sis, storica città e centro religioso dei cristiani armeni decaduta successivamente nel XV secolo a seguito di varie occupazioni straniere. Deir el-Zor ci porta invece ad eventi molto più vicini a noi, essendo una località nel deserto siriano dove si concludevano le marce della morte durante il famoso genocidio del primo 900. Ararat si discosta dal discorso crono-geografico, essendo esso il complesso montuoso identificato come sito di approdo dell'arca di Noè al termine del diluvio universale diventando poi simbolicamente luogo di riposo delle vittime del genocidio. Il trittico dunque esemplifica, recuperando il mito greco-romano delle Parche, la diaspora del popolo Armeno. Tuttavia il riferimento mitologico si limita ad una citazione formale, poichè il tema della filatura si lega alla tradizione tessile armena, evidenziata dal fondo della prima tavola, (Sis) raffigurante un tappeto (Lori Pambak). Lo stesso viene poi riproposto nel secondo dipinto, (Deir el-Zor) ridotto tuttavia in pixel e dunque quasi irriconoscibile, per giungere nell'ultimo, (Ararat) ad uno spazio nero, sul quale si stagliano i versi del poeta armeno Daniel Varujan, vittima del genocidio.
"É questa l'ora, anima mia, che sola come la cicala
tu riposi sulle cime;
che nell'incorrotta quiete
tu t'inebri del tuo canto
come il sole della sua luce, solo con la sua luce."
All'interno del trittico, ogni dipinto ha un nome specifico, i quali identificano luoghi geografici ben precisi e che susseguendosi, tracciano un percorso geo-temporale che ricopre alcune delle pagine più buie della storia del popolo Armeno. A partire da Sis, storica città e centro religioso dei cristiani armeni decaduta successivamente nel XV secolo a seguito di varie occupazioni straniere. Deir el-Zor ci porta invece ad eventi molto più vicini a noi, essendo una località nel deserto siriano dove si concludevano le marce della morte durante il famoso genocidio del primo 900. Ararat si discosta dal discorso crono-geografico, essendo esso il complesso montuoso identificato come sito di approdo dell'arca di Noè al termine del diluvio universale diventando poi simbolicamente luogo di riposo delle vittime del genocidio. Il trittico dunque esemplifica, recuperando il mito greco-romano delle Parche, la diaspora del popolo Armeno. Tuttavia il riferimento mitologico si limita ad una citazione formale, poichè il tema della filatura si lega alla tradizione tessile armena, evidenziata dal fondo della prima tavola, (Sis) raffigurante un tappeto (Lori Pambak). Lo stesso viene poi riproposto nel secondo dipinto, (Deir el-Zor) ridotto tuttavia in pixel e dunque quasi irriconoscibile, per giungere nell'ultimo, (Ararat) ad uno spazio nero, sul quale si stagliano i versi del poeta armeno Daniel Varujan, vittima del genocidio.
"É questa l'ora, anima mia, che sola come la cicala
tu riposi sulle cime;
che nell'incorrotta quiete
tu t'inebri del tuo canto
come il sole della sua luce, solo con la sua luce."