opera
2018 -2019 THE STAGING OF THE ART serie fotografica per libro
categoria | Fotografia |
soggetto | Figura umana |
tags | digital art, mobile art |
base | 21 cm |
altezza | 21 cm |
profondità | 0 cm |
anno | 2019 |
2018 -2019 THE STAGING OF THE ART serie fotografica per libro
DALLA INTRODUZIONE DI NICOLA DAVIDE ANGERAME
“…in questa serie, che riguarda un soggetto di per sé ilare come il (retro)scena dell'arte, intesa in senso fisico, letterale e non metaforico, Privitera ci emoziona e diverte cogliendo l'essenza “oscena” (immorale e fuori scena) della scena dell'arte, a tratti così sguaiata e priva di gusto (come i protagonisti della sezione Visitors) o asettica ed insensata come un'attesa di ciò che tarda a giungere o che non arriverà mai della sezione Custodians (dal Godot di Samuel Beckett ai Tartari di Dino Buzzati, le assonanze si potrebbero moltiplicare); o, ancora, una scena desolante e distratta come negli sguardi rivolti all'altrove offerti nella sezione degli Art Dealers.”
“Questo libro è come una breve guida dentro il “sistema dell’arte” quando non funziona a pieno regime, quando sembra stare a riposo: i selfie con le opere d'arte sono il controcanto odierno alla noia da sempre vissuta dai custodi museali (almeno fino all'invenzione del custode-guida) così come le microattività digitali salvano dall'ozio il gallerista in stand che così “occupa” lo spazio di tempo tra uno spettatore atteso e l'altro; gli spettatori sono (ac)colti da Privitera nel loro punto debole, in quella che potremmo chiamare “fame di punctum”, da “idiot savant” o da scimmia ammaestrata che, malgrado ogni buona volontà, si ritrova a dibattersi tra le proprie aspettative (di senso) e l'inconsapevole fruizione del nulla (l'attesa del senso).”
“Privitera coglie così bene ( lo snaturamento delle fiere d’arte n.d.r. ) grazie ad una sensibilità malinconica da dandy in vacanza nel mondo dell'arte ma che sa accendersi d'improvvisi scatti di rabbia contro il malcostume dettato dalla inconsistenza di quei mezzi digitali (lo smartphone in primis), che proprio lui sceglie come strumento di dannazione e redenzione per produrre una fotografia nuova, di piccolo formato e ultra-elaborata, filtrata a freddo ma anche dotata di un'incendiaria colorazione che meriterebbe forse una nuova teoria dei colori (digitali).”
DALLA INTRODUZIONE DI NICOLA DAVIDE ANGERAME
“…in questa serie, che riguarda un soggetto di per sé ilare come il (retro)scena dell'arte, intesa in senso fisico, letterale e non metaforico, Privitera ci emoziona e diverte cogliendo l'essenza “oscena” (immorale e fuori scena) della scena dell'arte, a tratti così sguaiata e priva di gusto (come i protagonisti della sezione Visitors) o asettica ed insensata come un'attesa di ciò che tarda a giungere o che non arriverà mai della sezione Custodians (dal Godot di Samuel Beckett ai Tartari di Dino Buzzati, le assonanze si potrebbero moltiplicare); o, ancora, una scena desolante e distratta come negli sguardi rivolti all'altrove offerti nella sezione degli Art Dealers.”
“Questo libro è come una breve guida dentro il “sistema dell’arte” quando non funziona a pieno regime, quando sembra stare a riposo: i selfie con le opere d'arte sono il controcanto odierno alla noia da sempre vissuta dai custodi museali (almeno fino all'invenzione del custode-guida) così come le microattività digitali salvano dall'ozio il gallerista in stand che così “occupa” lo spazio di tempo tra uno spettatore atteso e l'altro; gli spettatori sono (ac)colti da Privitera nel loro punto debole, in quella che potremmo chiamare “fame di punctum”, da “idiot savant” o da scimmia ammaestrata che, malgrado ogni buona volontà, si ritrova a dibattersi tra le proprie aspettative (di senso) e l'inconsapevole fruizione del nulla (l'attesa del senso).”
“Privitera coglie così bene ( lo snaturamento delle fiere d’arte n.d.r. ) grazie ad una sensibilità malinconica da dandy in vacanza nel mondo dell'arte ma che sa accendersi d'improvvisi scatti di rabbia contro il malcostume dettato dalla inconsistenza di quei mezzi digitali (lo smartphone in primis), che proprio lui sceglie come strumento di dannazione e redenzione per produrre una fotografia nuova, di piccolo formato e ultra-elaborata, filtrata a freddo ma anche dotata di un'incendiaria colorazione che meriterebbe forse una nuova teoria dei colori (digitali).”