IPOTESI DI FELICITÀ – HYPOTHESIS OF HAPPINESS #1 e #2

opera
IPOTESI DI FELICITÀ – HYPOTHESIS OF HAPPINESS #1 e #2
IPOTESI DI FELICITÀ – HYPOTHESIS OF HAPPINESS #1 e #2
categoria Installazione
soggetto Politico/Sociale, Paesaggio, Natura, Astratto
tags
base 350 cm
altezza 210 cm
profondità 350 cm
anno 2019
Assemblaggio di fotografia a doppia esposizione stampata su organza. Misura massima 210x350 cm. Assemblaggio di immagine stampata con solvente su organza e tessuto, sei luci led, supporto di legno. 2 elementi 72x72x5 cm ciascuno.


“Quando nacque? un lunedì o un martedì? Fortunato non assistette alla sua nascita.
E nemmeno il personero Rivera, né le autorità, né gli uomini trattenuti nei pascoli videro arrivare il treno.
[...] Quegli ingiacchettati di cuoio nero, nessuno li aveva mai visti. Scaricarono balle di filo di ferro.
Finirono all'una, mangiarono e cominciarono a scavare buche.
Ogni dieci metri piantavano un palo. Fu così che nacque il Recinto.”

“A cosa aspirava il Recinto?
Che disegno nascondeva?
Chi ordinava quella separazione?
Chi era il padrone di quel filo di ferro?
Un'ombra che non era il tramonto incupì le facce tribolate.
La pampa appartiene ai viandanti. Nella pampa non si sono mai visti recinti.”

Manuel Scorza, (1928 – 1983), scrittore e politico.


Ma chi insegna ad aprire? Da tempo non si fa altro che chiudere le porte, è un vero tic; per un po' si tira il fiato, poi l'ansia riafferra il cuore e si vorrebbe sprangare tutto, anche le finestre, senza accorgersi che così manca l'aria e che l'emicrania, in quel soffoco, martella sempre più le tempie, a poco a poco si finisce per sentire solo il rumore del proprio mal di testa.

Ogni endogamia è asfittica; anche i college, i campus universitari, i club esclusivi, le classi pilota, le riunioni politiche e i simposi culturali sono la negazione della vita, che è un porto di mare.

Claudio Magris, (1939), scrittore, saggista, traduttore e accademico.


Siamo circondati da confini di ogni tipo: mentali, materiali, artificiali, naturali. Confini che ci coinvolgono personalmente e confini che invece riguardano tutta la società, ed ogni giorno siamo costretti dentro nuovi confini. Ognuno con una sua possibile e concreta proiezione spaziale. Conoscere, prendere coscienza dei confini ci permette di viverli in un modo diverso, forse più positivamente, se è possibile vivere positivamente un confine. Conoscere, prendere coscienza dei confini ci permette di oltrepassarli. È fondamentale sottolineare l’aspetto del confine come entità che pur mettendo in contatto due parti le separa e allo stesso tempo dividendo due parti le riunisce. Il confine che ai suoi margini può essere vissuto come una barriera, può rivelarsi al suo interno come uno spazio nuovo. Uno spazio altro, un altro luogo, una nuova possibilità: uno spazio di contatto, scambio e dialogo. È in questo spazio nuovo, spazio altro, altro luogo, nuova possibilità che nasce il progetto “Ipotesi di felicità / Hypothesis of happiness”: un percorso narrativo composto da più opere, diverse per forma e tipologia di assemblaggio, che coinvolgono emotivamente, spazialmente e visivamente lo spettatore. Le ipotesi di felicità stanno oltre ogni confine, oltre ogni recinto. Filo conduttore tra varie opere presentate è l’immagine di un paesaggio rigoglioso, una foresta, un bosco, solo apparentemente innocuo, che rappresenta come in ogni fiaba la paura di perdersi e cancellarsi. A uno sguardo più attento essa mostra già i segni di un cambiamento in atto, mostra già i segni di uno spazio nuovo reso tale mediante la fotografia a doppia esposizione e che rappresenta di per sé un primo confine e segna una divisione nello spazio che lo spettatore deve attraversare. Pensare un confine o costruire un recinto sono pratiche omologhe che possono trasformare non solo un paesaggio, ma un intero modo di concepire lo spazio. Entrambe sono azioni che rispondono a un medesimo desiderio, quello di generare uno spazio cercando allo stesso tempo di controllarlo in qualche modo. Il recinto diventa allora una delle forme archetipe dell’architettura e dell'organizzazione di un territorio. Ma diventa anche uno dei primi e più costrittivi segni di confine. Le due immagini, quella del recinto e quella del confine, vengono così a sovrapporsi anche metaforicamente. Nelle due opere tridimensionali a parete, nel fitto della vegetazione appaiono delle luci che mettono in evidenza i vertici di un recinto esagonale. Pensare un confine e costruire un recinto significa inventare un ambito e racchiuderlo, circoscriverlo attraverso elementi che ne mettano in evidenza la sua dimensione, la sua forma, le sue funzioni, come nella scultura cubica semitrasparente. Vuol dire rendere chiaramente riconoscibili sia gli elementi che vi appartengono, sia quelli che vi rimangono esclusi. Dentro un recinto ci si può riparare, proteggere e se necessario anche difendersi. Ma dentro un recinto è anche possibile imprigionare gli uomini, privarli della libertà, segregarli in uno spazio che può diventare, con la sua forma, esso stesso “potere”. È solo nella volontà di chi lo costruisce che sta il limite del potere di un recinto. Nella serie di assemblaggi su carta, il paesaggio rigoglioso pervade completamente i corpi delle persone davanti alle quali si stagliano chiaramente dei recinti di filo. Il potere di un recinto sta nella sua semplicità. Un qualunque filo di ferro diventa lo strumento con cui si può organizzare un recinto. Pensiamo all'ostilità di un reticolato di filo spinato, ai suoi perfidi vuoti che ingannevolmente sembrano permetterci di attraversarlo per farci finire poi prigionieri delle sue spire. Un recinto funziona proprio perché sottrae spazio al movimento, lo organizza in maniera rigida, lo incanala lungo direzioni determinate a priori e di cui molte volte non si percepisce né si conosce la fine (o il fine). Quando nei nostri spostamenti lo incontriamo lungo il percorso, spesso ci costringe a modificare il nostro cammino, ad allungarlo, a seguire il suo disegno più o meno convulso fino a quando, grazie a una svolta o una sua improvvisa apertura, ci consente di riprendere la nostra direzione. E questo può voler dire sia proseguire “fuori”, sia rimanere “dentro” il recinto, ingarbugliati nel suo disegno nascosto. Più di altri segni di confine infatti, un recinto evidenzia ed esaspera una volontà intransigente. Ordinando una separazione là dove non era mai esistita rende inaccessibile ciò che fino a quel momento era stato, al contrario, sempre accessibile e disponibile a tutti. Sottrae non solo spazio, quindi, ma anche risorse, fino al punto di costringere qualcuno, circondandolo, ad abbandonare altro spazio e altre risorse. Molto spesso il recinto viene sottovalutato nella sua capacità aggregante e quando se ne comprendono le vere potenzialità è ormai troppo tardi, perché una volta che un recinto prende forza, inizia a correre ovunque, ingoiando tutto quanto incontra. Questo recinto è un filo di ferro che cammina per tutta la terra, che inghiotte persone, città, popoli, nazioni intere e territori, determinando la vita o la morte. Questo recinto riguarda tutti noi, nessuno escluso. Ogni pretesto di discriminazione è un recinto. Quelle persone ritratte di spalle siamo tutti noi, è impossibile non riconoscerci, è inevitabile immedesimarsi, la riflessione è d’obbligo e il recinto/specchio esagonale posto al termine del percorso del progetto “Ipotesi di felicità / Hypothesis of happiness” ha questa funzione. Ciascuno di noi nel corso della propria vita è posto costantemente di fronte ad un recinto, talvolta siamo dentro, talvolta siamo posti fuori, talvolta è una nostra scelta, talvolta siamo costretti a subire le scelte altrui. In ogni caso l’ipotesi di felicità è oltre il recinto stesso. La felicità è lo stato d'animo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri. L'etimologia fa derivare felicità da: felicitas, che a sua volta deriva da felix-icis, “felice”, la cui radice “fe-” significa abbondanza, ricchezza, prosperità. La stessa prosperità del paesaggio iniziale che non ci ha mai abbandonato. La nozione di felicità intesa come condizione (più o meno stabile) di soddisfazione totale, occupa un posto di rilievo nelle dottrine morali dell'antichità classica. Il termine non solo indica gioia ma anche l'accettazione del diverso e la tranquillità con gli altri. Ogni endogamia è asfittica perché è la negazione stessa della vita, che è un porto di mare, non un recinto chiuso.


artista
Federica Gonnelli
Artista, Firenze
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