Kunst macht frei

opera
Kunst macht frei
Kunst macht frei
categoria Installazione
soggetto Politico/Sociale
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base 2500 cm
altezza 5000 cm
profondità 20 cm
anno 2018
“In Alberobello è stato costituito un posto di concentramento. Faccio presente che Alberobello è una delle migliori sedi di villeggiatura, nonché centro turistico della provincia di Bari”.

Cosi scriveva il federale di Bari nel 1940, contrastando l’intenzione del capo della polizia di adibire l’ex scuola agraria, fondata da Don Francesco Gigante sacerdote non proprio esemplare di Alberobello, a campo di internamento.
Casa Rossa, cosi verrà chiamata l’ex scuola agraria per via del colore delle pareti esterne, apre i battenti il 28 Aprile 1940, e li richiude il 20 Dicembre 1949, giorno in cui viene firmato il verbale di consegna dello stabile dopo l’invito del Ministero degli Interni.
E’ lunghissimo l’ elenco delle persone che sono passate sotto il portone di Casa Rossa, a seconda come girava la ruota… la ineluttabile ruota della storia, i fascisti ci mettevano gli antifascisti, gli antifascisti ci hanno messo i fascisti, i tedeschi gli italiani, gli italiani i tedeschi, e via così in una voragine di reciproca intimidazione e ostilità.
Superare il portone d’ingresso di Casa Rossa era un’esperienza, significava accedere ad una condizione diversa dell’esistenza, ad un altro stato di coscienza, dinanzi a derelitti ed emarginati, in una visione discrepante, totalmente opposta lontana dalla vocazione turistica di Alberobello quale luogo di villeggiatura, affascinante e spensierato. Proprio nella chiave di volta di quel portone rimane ancora impresso l’anno in cui venne messa la prima pietra, il 1887. È passato più di un secolo da quella data, e l’incisione nella pietra è ancora lì, testimone impotente di un trascorso tenebroso.
La mente mi riporta ai grandi cancelli d’ingresso dei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale, sui quali troneggiava il motto: ARBEIT MACHT FREI (dal tedesco: ‘Il lavoro rende liberi’). La scritta ha assunto nel tempo un forte significato simbolico, sintetizzando in modo beffardo le menzogne dei campi di concentramento, nei quali i lavori forzati, la condizione disumana di privazione dei prigionieri e sovente il destino finale di morte, contrastavano con il significato opposto del motto stesso. Contrariamente nel campo di Alberobello i detenuti non erano costretti a lavorare, alcuni facevano piccoli lavoretti solo per ingannare il tempo. Da qui la differenza tra campo di concentramento e campo d’internamento. Un campo di concentramento è, infatti, caratterizzato dal terrore politico e dal lavoro coercitivo, mentre un campo di internamento, come quello di Alberobello, continua a conservare una traccia dello stato di diritto, benché gia ci si trovi in uno stato dittatoriale.
Come abbiamo detto il portone di casa Rossa non riportava nessuna scritta, è stato semplicemente il testimone anonimo di tanto orrore. Tra gli altri lo hanno attraversato anche tanti artisti (pittori e musicisti), i quali, in cambio di cibo per combattere la fame o di indumenti per sopportare il freddo, cedevano opere alla gente del luogo. Emblematico è il caso di Viktor Tscheron, pittore lituano, internato con il fratello Leonard e sua madre. Durante la sua permanenza, oltre a diversi quadri donati agli alberobellesi, tra marzo e agosto del 1948, ha ornato le pareti laterali della cappella di Casa Rossa con storie di Santa Chiara e San Francesco. L’architetto Lobl ha realizzato delle chine sui trulli e strutturato un progetto bellissimo di casa alle spalle della scuola elementare. Anche il maestro di musica, Charles Albes, godette di un regime di semilibertà, grazie all’aiuto della famiglia Nardone, la quale fece di tutto per alleviare la deportazione di Albes mettendogli a disposizione un pianoforte, e poté persino dedicarsi all’insegnamento pianistico. In segno di gratitudine per i coniugi Nardone, un giorno nel 1941, Albes si sedette al pianoforte e compose d’istinto un piccolo valzer-rondò che chiamò in modo beffardo “Felicità”. E quando il direttore del campo, all’ennesima richiesta di condurre Albes a casa Nardone per non mandare in malora il pianoforte di famiglia, protestò: “Ma questo è un prigioniero!”, il facoltoso benefattore rispose a muso duro” Tu statt citt che non puot capiì”. L’arte, dunque, come mezzo di evasione, sopravvivenza, elevazione.
Gli artisti immaginavano di essere liberi spingendo la loro creazione oltre il filo spinato e la loro mente oltre il campo. L’arte gli ha resi liberi.
Il loro ricordo di quelle esemplari vicende esistenziali vive ancora oggi, attraverso e oltre le loro creazioni.

Il mio progetto vuole contribuire a perpetrare la memoria di quanti nell’arte riuscirono a trovare una via di fuga agli orrori del nazifascismo, rispondendo con intelligenza, orgoglio e solidarietà alle follie totalitariste.
Dieci anni, questo è il tempo di attività di Casa Rossa, dieci anni di sofferenza, abbruttimento di un’umanità in nome di una delirante ideologia razziale, un tempo che ha lasciato tracce indelebili nei “cristiani” come li definì un uomo di Alberobello vedendo un gruppo di ebrei arrivati in stazione, “ma sono cristiani come noi” disse meravigliato. Umiliazione, tradimento, perdita, indifferenza sono esperienze che hanno vissuto in diversi modi tutti quelli che passarono parte della loro vita tra le mura della grande casa, esperienze tragiche che hanno fatto la storia di un antica masseria di colpo trasformata in campo di internamento. In quel luogo sono venute meno le speranze e le aspettative che ognuno aveva depositato nel futuro, vittime dell’indifferenza del tradimento e della persecuzione. “In quelle stanze si era smarrita la dignità umana”.
Il motto che verrà simbolicamente posto sul portone d’ingresso di Casa Rossa sarà:
KUNST MACHT FREI (dal tedesco: ‘L’arte rende liberi’). La grande scritta verrà incisa direttamente nella terra, con il solo ausilio della zappa. Taglierò l’erba di un grande spazio come gli eventi storici hanno reciso i sentimenti, i progetti e gli amori dei detenuti. Le lettere saranno scavate nella terra, i solchi oltre a simboleggiare il tormento subito dalla terra in tutto il periodo di attività del campo, rappresenteranno le ferite invisibili provocate dalla storia agli “ospiti” di Casa Rossa. Intendo le “ferite dell’anima”, quelle più difficili da cancellare, quelle che mai guariscono e se guariscono lasciano comunque una cicatrice pronta a riaprirsi ogni qualvolta la mente ricordi il passato.
Ricucirò con un filo di cotone color oro con un grande ago autocostruito in ferro – cosicché dalla terra possa nascere il rimedio alle sofferenze antiche - le ferite della terra.

Dopo avere ricucito la terra, metterò due fili rossi di cotone paralleli legati ad alcuni piccoli paletti di legno, proprio come fanno i muratori pugliesi quando costruiscono i famosi muretti a secco, rievocando le pratiche insegnate nella Scuola Agraria. I fili mi aiuteranno a tracciare le linee che formeranno la grande scritta. I fili sottili rappresenteranno il tentativo miseramente fallito, per via della caduta del fascismo nel luglio 1943, di far diventare il campo di internamento un vero e proprio lager. Il progetto per la recinzione con muro e filo spinato era stato già accettato dal ministero!
Considerando che tutti i materiali utilizzati nel progetto sono completamente biodegradabili, l’intervento sarà destinato a cancellarsi con il tempo entrando a far parte nella memoria del luogo cosi come le varie vicende della storia del luogo si sono stratificate una sull’altra.
Le fiamme simboleggiano il trionfo del bene sul male, l’illuminazione, la conoscenza e la realizzazione spirituale dell’uomo, che sconfigge l’oscurità, indice di male, ignoranza, stupidità.
- Filo di cotone color oro per cucire la terra: diametro 0,5 cm , lunghezza variabile
- Filo di cotone per la costruzione della la scritta: diametro 0,5 cm., lunghezza variabile
- Paletti in legno di alloro
- Ago in ferro

artista
Gianfranco Basso
Artista, Roma
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