LA BANALITÀ VINCE NEL MERCATO DELL’ARTE

opera
LA BANALITÀ VINCE NEL MERCATO DELL’ARTE
LA BANALITÀ VINCE NEL MERCATO DELL’ARTE
categoria Fotografia
soggetto Politico/Sociale
tags Politica, Mercato, Arte, Mercato dell'arte, Sociale
base 50 cm
altezza 70 cm
profondità 0 cm
anno 2025
L’arte è ancora un territorio di ricerca o si è ridotta a un’eco sterile, destinata a ripetere all’infinito le stesse formule?
Claudio Castilletti affronta questa domanda con un’opera che non si limita a dichiarare, ma diventa essa stessa una dimostrazione tangibile della deriva dell’arte contemporanea. Un giornale a terra, sporco, calpestato, dimenticato in un bagno. Eppure, su di esso campeggia una frase che non lascia scampo: “La banalità vince nel mercato dell’arte.”
Quella che a prima vista potrebbe sembrare una scena accidentale – un quotidiano caduto per caso accanto a un WC – è in realtà una costruzione meticolosa, un dispositivo estetico che solleva interrogativi fondamentali. Il quotidiano, simbolo di informazione e diffusione culturale, viene privato della sua funzione originaria e relegato a puro rifiuto visivo. La scelta del bagno come ambientazione non è casuale: è lo spazio della routine più intima, ma anche dell’indifferenza, un luogo di passaggio dove tutto viene consumato e poi scaricato, dimenticato.
L’impronta sul giornale è un segno di cancellazione, un gesto inconsapevole eppure potentemente evocativo. Non è solo l’immagine di un oggetto calpestato, ma una rappresentazione visiva dell’atteggiamento con cui oggi si affronta il discorso artistico. La critica cede il passo alla superficialità, il mercato fagocita la ricerca, e l’opera diventa merce da vendere più che strumento di pensiero. L’arte non è più vista, ma ignorata.
In questa composizione, Castilletti sovverte il concetto stesso di esposizione: l’opera non è messa in mostra, ma gettata a terra; non è incorniciata, ma sporcata; non è protetta, ma esposta alla violenza del disinteresse. È un’operazione che si inserisce nel solco dell’arte concettuale e dell’arte povera, ma con una consapevolezza postmoderna: oggi, la critica all’arte non passa più attraverso la provocazione del gesto, ma attraverso la resa all’evidenza.
Il quotidiano è un oggetto effimero per eccellenza: ogni giorno viene prodotto, distribuito, letto, dimenticato, gettato. In questa ciclicità dell’informazione, l’opera si fa metafora della produzione artistica contemporanea, in cui il valore non è più determinato da un reale approfondimento critico, ma dalla rapidità con cui un’opera si consuma. Così come le notizie diventano obsolete in poche ore, così anche l’arte è soggetta alla stessa logica di consumo accelerato: il mercato impone ritmi sempre più veloci, e ciò che non si adegua viene ignorato.
Ma Castilletti non si limita a constatare questa realtà: la mette in scena con una precisione chirurgica. Il flash diretto, freddo e implacabile, richiama le immagini forensi, come se l’opera fosse il reperto di un crimine. Un’indagine visiva che porta alla luce non solo la fragilità del valore artistico, ma anche la responsabilità di chi osserva. Chi ha calpestato quel giornale? Chi ha scelto di ignorarlo? Chi ha stabilito che ciò che contiene non meriti più attenzione?
In questa riflessione si inserisce un nodo cruciale: se l’arte è un linguaggio, chi decide quando smette di comunicare? Castilletti ci mette di fronte a una verità scomoda: non è il pubblico a uccidere l’arte, né i critici, né il mercato. L’arte muore quando si accetta che essa possa essere banalizzata. La frase stampata sul quotidiano diventa quindi un monito, un avvertimento: non è solo una dichiarazione, ma un atto performativo che si realizza nell’indifferenza con cui il giornale viene ignorato.
La grande ironia dell’opera è che, nel suo gesto di denuncia, riesce anche a generare un paradosso: il quotidiano calpestato, apparentemente privo di valore, si carica improvvisamente di significato proprio perché viene posto sotto osservazione. Ciò che era invisibile diventa visibile. Il pubblico, costretto a guardare un oggetto che normalmente ignorerebbe, viene spinto a riconsiderare il proprio rapporto con il sistema dell’arte e con il modo in cui viene costruito il valore artistico.
Claudio Castilletti, con questa operazione tanto minimale quanto potente, ci lascia con una domanda essenziale: quanto di ciò che consideriamo arte è davvero arte, e quanto è solo il riflesso di un sistema che ha perso la capacità di distinguere il necessario dal superfluo? L’opera non offre risposte, non fornisce soluzioni: come un’indagine lasciata aperta, invita lo spettatore a guardare ciò che solitamente passa inosservato e a chiedersi se, nel farlo, non abbia già cambiato prospettiva.

Tecnica: Fotografia digitale stampata su carata Mille Punti applicata su Dibond.
artista
Claudio Castilletti
Fotografo, Artista, Comiso
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