One last tango

opera
One last tango
One last tango
categoria Installazione
soggetto Politico/Sociale, Figura umana, Erotico, Astratto
tags fabrice bernasconi borzi, one last tango
base 200 cm
altezza 400 cm
profondità 200 cm
anno 2019
Dimensioni variabile

Due seghe a nastro poste una accanto all'altra sono collegate a due motori al soffitto. Attivate ogni 3 minuti per 3 minuti: il tempo medio di un tango. Ballano senza dare conto all'altro, a volte prendono forme diverse da quella primordiale, a volte, allo stesso tempo, assumono la stessa forma.

Limitandosi ad essere inumani, creano una stretta distanza tra di loro. Ma quando si toccano, dal metallo, emerge un suono forte e combattivo che li fa duellare o respingere, per non subire una conquista.

A volte ballano insieme, a volte si scontrano, a volte combattono, è come se due io si confrontassero ogni giorno.

Qui l'opera diventa interattiva. Lo spettatore si confronta con l'opera, è lui che adatta la sua vicinanza all'opera, valutando il pericolo in prima persona.

Quest'opera ha vinto il Premio Nazionale delle Arte 2019, a Torino, Carolyn Christov-Bakargiev, presidente della giuria.


testo di Elsa Barbieri sulla mostra abbadonarsi ogni tanto è utile dove nel 2023 one last tango è stato presentato :

Così vitalmente radicata nel corpo come luogo del dispiegamento dell’essere singolare plurale, la riflessione
filosofica di Jean-Luc Nancy ci viene incontro in occasione di abbandonarsi ogni tanto è utile di
Fabrice Bernasconi Borzì offrendoci la possibilità di pensare la danza come modalità dell’esistenza. Perché,
è lecito chiedersi, di fronte all’opera che riempie lo spazio principale della galleria Massimo Ligreggi,
one last tango, usiamo la danza come stimolo? Perché la danza, come il toccare, è movimento e rappresenta
in sé la manifestazione del corpo ontologico, unico senso dell’esistenza. Il toccare-danzante che
appartiene all'opera, come esperienza estetico-cognitiva, ci consente un abbandono radicale all’esistenza
che apre lo sguardo alla singolarità plurale dell’esistente e ci restituisce a pieno il senso della libertà.
L’originaria e ontologica necessità del corpo di esistere nel movimento si concretizza nel movimento delle
due lame. Esse costudiscono ognuna un silenzio fremente (interrotto dal rumore assordante del loro tocco),
un’immagine celata in cui inconsapevolmente e reciprocamente si rispecchiano. Insieme sono metafora di
una stabile disarmonia frutto della compresenza di due polarità, movimento e immobilità. Nell’infinitesimale
fessura che consente alle due lame di muoversi, di danzare, toccandosi, baciandosi, scontrandosi e allontanandosi
- ogni tre minuti - si innesta una trama che ci trascina nel vortice di un pensare serrato e incalzante.
Possiamo parafrasarlo? No. Possiamo lasciarci portare dalla lettura con tutto il corpo, toccandolo, come
in una danza? Si.
Questo corpus di riflessioni non intende spiegare cosa stiamo guardando bensì guarda al qui ed ora della
nostra presenza, esistente, materica e toccante. Nella sala principale, due ritratti di un uomo e una donna
convivono con le due lame in movimento. Ricorre la dualità, nella ricerca come nel vissuto di Fabrice
Bernasconi Borzì. Nasce in Svizzera, a Ginevra, nel 1989. In un viaggio a ritroso, nel 2018, si trasferisce
a Catania, tentando di ritrovare un'alterità culturale peculiare delle sue originali e funzionale al suo lavoro.
In lui convivono due cittadinanze, due anime, due attitudini che si pongono alla base dell’equilibrato
conflitto tra forze che la sua opera esprime. Convivono, anche e alternandosi, il tempo dell’attività, e
dunque del lavoro, a quello dell’otium produttivo, durante il quale come un moderno Marcel Proust, Bernasconi
Borzì raccoglie impressioni: «Collegate alle sensazioni che provavo ora (…) queste impressioni si
sarebbero rinforzate, avrebbero assunto la consistenza di un tipo particolare di piacere, e quasi di un
quadro d’esistenza che avevo, d’altronde, raramente occasione di ritrovare, ma nel quale il risvegliarsi dei
ricordi poneva nella realtà materialmente percepita una parte abbastanza grande di realtà evocata, pensata,
inafferrabile».
Con quelle impressioni e con il suo fare, prevalentemente semplice, minimale, impulsivo e paradossale,
finanche provocatorio e di matrice dadaista, Fabrice crea situazioni sovvertendole. «Dottore in niente»,
come era solito autodefinirsi, Guy Debord fu il guru di quell’impostazione programmatica storicamente nota
come Situazionismo. Egli sosteneva che «lo spettatore più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi
nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio». Bernasconi
Borzì è il primo spettatore di sè stesso ed è per questo che non dà forma a uno spettacolo che
non vuole giungere a nient’altro che a sé stesso, ma al contrario cerca di imprimere un’inversione di marcia
allo slittamento generalizzato dall’avere al sembrare: si considera una «spugna e un ladro di idee, ma che
lavora sodo per essere, veramente, quello che è». Assumiamo, come anticipato, le lame come metafora
di una stabile disarmonia e proviamo a comprenderla. Per farlo dobbiamo tornare indietro di qualche
anno: Fabrice, italo-svizzero, in Svizzera porta avanti la sua ricerca animato dalla curiosità e dall'ingegnosità
del fare, priva di limiti, mentre per finanziarsi si specializza nel settore degli allestimenti museali, dove
sovrana è la distanza dall’opera a garanzia della sua preservazione in sicurezza. Sperimenta, dunque e
al contempo, materiali sempre diversi e regole sempre uguali. Cosa ne resta? one last tango, realizzato in
maniera del tutto analogica e manuale, senza alcun ausilio informatico e digitale, in cui convivono leggerezza,
gioia di vivere e calore, propri della cultura mediterranea, e la freddezza, in termini materici, più
vicina al rigore svizzero (parola di chi, con grande amore per entrambe, ha nel suo sangue un buon quarto
di origine svizzera).
one last tango è a tutti gli effetti un’opera autobiografica e collettiva, dalla forte valenza ipnotica e insieme
presenza tangibile che dice e testimonia, nell’immediatezza, tutto il senso dell’esistente. È autobiografica
perché è, e non potrebbe essere altrimenti, riflesso delle personalità del suo creatore, ed è collettiva perché
Bernasconi Borzì se ne distacca lasciando che chiunque, a partire da quell’uomo e quella donna ritratti,
possano appropriarsene.
È caratteristico di Fabrice creare sovvertendo. Farlo, è lui stesso a dirlo: «richiede forza e calcolo». Appare
evidente anche nella serie di opere che completano abbandonarsi ogni tanto è utile. Così per esempio la
serie fotografica this could be, riproduce icone e simboli del Sud Italia come anche situazioni quotidiane,
di strada, attraverso stampe in quadricromia su carta, incollate su pannelli di legno e montanti di allumino.
Il loro carattere provvisorio ci spinge verso il mondo dell'artista: sono fotografie, si, ma sono anche schemi
riflettenti che egli usa come configurazioni per installazioni future. In esse egli sviluppa una serie di domande
sul senso del fare, dei suoi presupposti concettuali e della sua interpretazione attuale. Come anche nelle
sculture della serie antieroi, instabili, discrete, inutili e resistenti a qualsiasi forma di evoluzione. Sembra
assurdo, forse, ma è anche estremamente umano. Non siamo forse proprio noi a imbatterci sempre,
quando li cerchiamo, nell’incapacità di trovare valori e significati con assoluta certezza?
Un cartello, di quelli che i manifestanti tengono tra le mani e che Bernasconi Borzì realizza con giochi di
parole, accompagna la mostra rimarcando che abbandonarsi ogni tanto è utile. Tra il tempo del lavoro e
il tempo del sonno esiste il tempo libero dell’otium, uno spazio fluido in cui abbandonarsi significa insorgere,
innalzarsi, trascendere. L’abbandono non è rassegnazione, anzi. Esso è azione, è essere totalmente
ciò che si è. L’abbandono danza con la determinazione, ci vuole una sconfinata fiducia nella vita per
comprenderlo.
Henri-Frédéric Amiel diceva: «Mille passi avanti, novecentonovantanove indietro: ecco il progresso».
Non è vero Fabrice?
artista
Fabrice Bernasconi Borzì
Artista, Catania
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