opera
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categoria | Installazione |
soggetto | Politico/Sociale |
tags | |
base | 400 cm |
altezza | 250 cm |
profondità | 200 cm |
anno | 2020 |
Installazione ambientale
Vi è qualcosa di sacrale nell’osservare con sguardo attento l’aspra terra dei territori del sud, qualcosa di magico, profondamente primitivo in cui si mescolano sostanzialmente aspetti animisti e simbolici con i cambiamenti socio-culturali della contemporaneità. Ma in questa fusione estremamente complessa e lenta, in cui il territorio è percepito ancora come spazio fobico, si introducono azioni rituali di copertura legate sostanzialmente alla manipolazione della geografia, dei territori, delle campagne e dei lembi di terra isolati. Vengono circoscritti con ampi teli neri, spazi da coltivare o in disuso, aree in cui lo scorrere lento e ciclico delle stagioni ha mutato profondamente. Queste stoffe intrecciate, cucite fra loro dai contadini, attraverso un sistema arcaico di lavorazione e di manodopera, sono lasciate sotto le intemperie o bruciate e consumate dal sole nelle stagioni del caldo: e allora come fossero scialli dalla lunga trama o veli neri al vento, essi creano delle forme, delle immagini che sembrano appartenere ad un substrato lontano e incantato, di miti legati alle messi e al culto primordiale di Demetra e ai misteri eleusini. Da questi aspetti Maria Grazia Carriero (Gioia del colle, 1980) attraverso una rilettura semiologica delle immagini, reinterpreta le forme visibili della cultura del sud, creando un istallazione che è un dialogo continuo con i propri territori, in cui tesse, taglia, annoda e deteriora questi lunghissimi tessuti che invadono la geografia e le architetture. È un vero e proprio rituale, generato attraverso movimenti ripetitivi e ossessivi di cucitura e srotolamento; azione apotropaica data dalla necessità di manipolare lo spazio che circonda l’artista in cui il territorio è avvertito come magico e perturbante.
Testo a cura di Fabio Petrelli
Vi è qualcosa di sacrale nell’osservare con sguardo attento l’aspra terra dei territori del sud, qualcosa di magico, profondamente primitivo in cui si mescolano sostanzialmente aspetti animisti e simbolici con i cambiamenti socio-culturali della contemporaneità. Ma in questa fusione estremamente complessa e lenta, in cui il territorio è percepito ancora come spazio fobico, si introducono azioni rituali di copertura legate sostanzialmente alla manipolazione della geografia, dei territori, delle campagne e dei lembi di terra isolati. Vengono circoscritti con ampi teli neri, spazi da coltivare o in disuso, aree in cui lo scorrere lento e ciclico delle stagioni ha mutato profondamente. Queste stoffe intrecciate, cucite fra loro dai contadini, attraverso un sistema arcaico di lavorazione e di manodopera, sono lasciate sotto le intemperie o bruciate e consumate dal sole nelle stagioni del caldo: e allora come fossero scialli dalla lunga trama o veli neri al vento, essi creano delle forme, delle immagini che sembrano appartenere ad un substrato lontano e incantato, di miti legati alle messi e al culto primordiale di Demetra e ai misteri eleusini. Da questi aspetti Maria Grazia Carriero (Gioia del colle, 1980) attraverso una rilettura semiologica delle immagini, reinterpreta le forme visibili della cultura del sud, creando un istallazione che è un dialogo continuo con i propri territori, in cui tesse, taglia, annoda e deteriora questi lunghissimi tessuti che invadono la geografia e le architetture. È un vero e proprio rituale, generato attraverso movimenti ripetitivi e ossessivi di cucitura e srotolamento; azione apotropaica data dalla necessità di manipolare lo spazio che circonda l’artista in cui il territorio è avvertito come magico e perturbante.
Testo a cura di Fabio Petrelli