SCRATCH
L'immagine presentata si impone con la sua energia brutale e incisiva, un'istantanea di un'azione sedimentata nel tempo, un gesto che si trasforma in memoria urbana. Il finestrino di un treno della metropolitana si trasfigura in un palinsesto visivo, in cui il "segno" - lo scratch profondo e deciso - diventa un codice linguistico della contemporaneità metropolitana. Un atto di appropriazione dello spazio pubblico, un graffio che grida presenza, esistenza, resistenza. L'intensità del bianco e nero enfatizza il contrasto tra il vetro intaccato e la luce che lo attraversa, restituendo un'immagine dal carattere quasi grafico, come se la metropoli stessa parlasse attraverso il gesto anonimo di chi ha inciso queste linee.
Immaginiamo ora altre trenta fotografie simili, una serie che costruisce un alfabeto visivo di questi tag urbani, uno dopo l’altro, a comporre un poema metropolitano inciso sulla pelle della città. Ogni finestrino è una tela, ogni incisione è una firma senza nome, un manifesto della contemporaneità, della ribellione sotterranea che pulsa sotto le strade di New York. Qui il graffito si smaterializza, diventa puro segno astratto, una traccia grafica che evoca la tradizione dell’Action Painting di Pollock o le sperimentazioni gestuali dell’Informale europeo. Ma, a differenza di queste esperienze pittoriche, il gesto non è più quello dell’artista in studio: è quello del graffittaro che lascia la sua impronta nel fluire caotico della metropoli, nella velocità delle carrozze della subway che trasportano storie, corpi, identità.
La modernità di questi scratch risiede nella loro essenza puramente segnica: l’assenza di colore e la reiterazione del tratto li rendono qualcosa di diverso rispetto al graffito tradizionale. Non c’è figurazione, non c’è lettering decorativo, non ci sono spray che esplodono in campiture cromatiche. Qui tutto è sintesi, è un codice ridotto all’osso, quasi un linguaggio segreto della strada, una scrittura asemica che trasforma la superficie liscia del vetro in un campo di battaglia visiva.
Nelle stazioni della metropolitana di New York, questi graffi si moltiplicano, creando un archivio di gesti spontanei, una mappatura della presenza umana. Ogni incisione è un’azione irreversibile, una sorta di ferita sulla pelle del mezzo pubblico, un’impronta del passaggio di un individuo che sceglie di lasciare un segno della propria esistenza. In un’epoca dominata dal digitale, dove le immagini si dissolvono in un flusso continuo e immateriale, questi scratch sono una forma di resistenza concreta, una scrittura incisa che non può essere cancellata con un click, un gesto primordiale che riafferma la fisicità del segno nell’era dell’effimero.
File digitale
Immaginiamo ora altre trenta fotografie simili, una serie che costruisce un alfabeto visivo di questi tag urbani, uno dopo l’altro, a comporre un poema metropolitano inciso sulla pelle della città. Ogni finestrino è una tela, ogni incisione è una firma senza nome, un manifesto della contemporaneità, della ribellione sotterranea che pulsa sotto le strade di New York. Qui il graffito si smaterializza, diventa puro segno astratto, una traccia grafica che evoca la tradizione dell’Action Painting di Pollock o le sperimentazioni gestuali dell’Informale europeo. Ma, a differenza di queste esperienze pittoriche, il gesto non è più quello dell’artista in studio: è quello del graffittaro che lascia la sua impronta nel fluire caotico della metropoli, nella velocità delle carrozze della subway che trasportano storie, corpi, identità.
La modernità di questi scratch risiede nella loro essenza puramente segnica: l’assenza di colore e la reiterazione del tratto li rendono qualcosa di diverso rispetto al graffito tradizionale. Non c’è figurazione, non c’è lettering decorativo, non ci sono spray che esplodono in campiture cromatiche. Qui tutto è sintesi, è un codice ridotto all’osso, quasi un linguaggio segreto della strada, una scrittura asemica che trasforma la superficie liscia del vetro in un campo di battaglia visiva.
Nelle stazioni della metropolitana di New York, questi graffi si moltiplicano, creando un archivio di gesti spontanei, una mappatura della presenza umana. Ogni incisione è un’azione irreversibile, una sorta di ferita sulla pelle del mezzo pubblico, un’impronta del passaggio di un individuo che sceglie di lasciare un segno della propria esistenza. In un’epoca dominata dal digitale, dove le immagini si dissolvono in un flusso continuo e immateriale, questi scratch sono una forma di resistenza concreta, una scrittura incisa che non può essere cancellata con un click, un gesto primordiale che riafferma la fisicità del segno nell’era dell’effimero.
File digitale
Salvatore Sparavigna, napoletano, è un narratore visivo la cui carriera abbraccia oltre quarant’anni di fotogiornalismo, arte e impegno civile, tessendo storie che uniscono la crudezza della realtà alla poesia dell’immagine. Fotografo, videomaker, giornalista ed euro progettista, il suo lavoro è un mosaico di identità culturali, battaglie sociali e sperimentazione artistica, radicato nel Sud Italia ma proiettato verso orizzonti globali.
**Dagli esordi all’eccellenza nel fotogiornalismo**
La sua avventura inizia nel 1980 tra i vicoli di Napoli, dove, da freelance, documenta cronaca e costume per testate locali. La svolta arriva nel 1986 con la fondazione di FO.R.N.ASS. (FOtografi & Reporter Napoletani ASSociati), prima agenzia fotogiornalistica campana, che diventa un faro per raccontare il Mezzogiorno oltre gli stereotipi. Le sue immagini, pubblicate su *L’Espresso* e *Il Venerdì di Repubblica*, catturano non solo eventi, ma l’anima di un territorio: dalla devianza minorile alle lotte contro la camorra, ogni scatto è un manifesto di verità. Negli anni ’90, il suo sguardo si allarga all’Europa, collaborando con riviste internazionali e agenzie, mentre nel 1997 anticipa la rivoluzione digitale con "Napoli Live Web News", tra le prime testate multimediali online in Italia.
**Arte come denuncia, identità come missione**
La fotografia per Sparavigna non è solo professione, ma linguaggio universale. Nei progetti artistici, mescola passato e presente: "Carne di Piperno" (1990-2005) sovrappone ritratti contemporanei a reperti architettonici, creando un dialogo tra epoche, mentre "Le pose del caffè a…" (2003-2006 www.leposedelcaffe.org) trasforma la tazzina di caffè espresso in un simbolo di appartenenza, immortalando personaggi da Napoli a New York in momenti di intima riflessione. Nel 2007, su invito della municipalità di New York, porta negli USA "Faces of ItaliaNY", mostra che celebra le radici italoamericane attraverso volti e rituali, dalla processione di Brooklyn ai salotti eleganti di Manhattan.
**Cinema sociale e webTV: dare voce agli invisibili**
Il suo impegno civile si fa cinema con documentari che scorticano le piaghe sociali. "A camorra…song io?" (2009), presentato a Casal di Principe nella Giornata della memoria delle vittime di mafia, svela le complicità silenziose della società napoletana, mentre "Le rughe del tempo" (2014) intreccia immagini d’archivio e luoghi attuali per riscoprire la memoria collettiva. Nel 2010 fonda "La mia strada TV", prima webTV del Sud Italia dedicata agli emarginati: tra reportage sui senza fissa dimora e dirette da laboratori scolastici, trasforma il digitale in uno strumento di inclusione.
**Europrogettazione e formazione: costruire futuro**
Accanto all’arte, Sparavigna coltiva una visione strategica. Dal 2019, come **Social Change Manager** ed euro progettista, disegna percorsi di innovazione per enti del Terzo Settore, gestendo bandi UE e coordinando iniziative come la "Nuova Agenda del Mediterraneo". In aula, da Napoli alle scuole di Torre Annunziata, insegna ai giovani a usare macchine fotografiche e social media come armi di consapevolezza, guidando progetti come "TV a colori" (2019), dove studenti diventano autori di webTV. Le recenti certificazioni in *Intelligenza Artificiale per il Terzo Settore* (2024) e *Management turistico* testimoniano una curiosità intellettuale mai spenta.
**Mostre e riconoscimenti: l’eredità di un visionario**
Le sue opere hanno viaggiato dal PAN di Napoli all’Italian American Museum di New York, passando per festival internazionali. Mostre come "Adolescenza: quale futuro?" (1996-2000), esposta a Firenze e Napoli, o "Emergency room" (2009), con finestre bruciate a simboleggiare il racket, sono gridi silenziosi contro l’indifferenza. Tra i premi, spiccano il **Leone d’Oro** (2018) per l’impegno sociale e il **Premio alla Carriera** (2013) dell’Associazione VerbinalandrArt, tributi a un artista che ha fatto della fotografia un atto politico.
**Tecnica e cuore: il dualismo di un artista**
Esperto di software di editing e diritti d’autore, padroneggia linguaggi analogici e digitali con uguale maestria. Le sue immagini, spesso in bianco e nero, giocano con contrasti drammatici e geometrie urbane, mentre i video uniscono estetica cinematografica a un ritmo documentaristico. Ma è l’umanità il vero filo rosso: dietro ogni progetto c’è una domanda, una sfida, un invito a guardare oltre l’apparenza.
Oggi, tra consulenze per Getty Images e mostre sensoriali come "DECUMANI – Voci del cuore di Napoli" (2017), Salvatore Sparavigna incarna il ruolo dell’artista engagé: un ponte tra arte e società, tra memoria e innovazione, che dimostra come la bellezza possa nascere anche dall’impegno.
**Dagli esordi all’eccellenza nel fotogiornalismo**
La sua avventura inizia nel 1980 tra i vicoli di Napoli, dove, da freelance, documenta cronaca e costume per testate locali. La svolta arriva nel 1986 con la fondazione di FO.R.N.ASS. (FOtografi & Reporter Napoletani ASSociati), prima agenzia fotogiornalistica campana, che diventa un faro per raccontare il Mezzogiorno oltre gli stereotipi. Le sue immagini, pubblicate su *L’Espresso* e *Il Venerdì di Repubblica*, catturano non solo eventi, ma l’anima di un territorio: dalla devianza minorile alle lotte contro la camorra, ogni scatto è un manifesto di verità. Negli anni ’90, il suo sguardo si allarga all’Europa, collaborando con riviste internazionali e agenzie, mentre nel 1997 anticipa la rivoluzione digitale con "Napoli Live Web News", tra le prime testate multimediali online in Italia.
**Arte come denuncia, identità come missione**
La fotografia per Sparavigna non è solo professione, ma linguaggio universale. Nei progetti artistici, mescola passato e presente: "Carne di Piperno" (1990-2005) sovrappone ritratti contemporanei a reperti architettonici, creando un dialogo tra epoche, mentre "Le pose del caffè a…" (2003-2006 www.leposedelcaffe.org) trasforma la tazzina di caffè espresso in un simbolo di appartenenza, immortalando personaggi da Napoli a New York in momenti di intima riflessione. Nel 2007, su invito della municipalità di New York, porta negli USA "Faces of ItaliaNY", mostra che celebra le radici italoamericane attraverso volti e rituali, dalla processione di Brooklyn ai salotti eleganti di Manhattan.
**Cinema sociale e webTV: dare voce agli invisibili**
Il suo impegno civile si fa cinema con documentari che scorticano le piaghe sociali. "A camorra…song io?" (2009), presentato a Casal di Principe nella Giornata della memoria delle vittime di mafia, svela le complicità silenziose della società napoletana, mentre "Le rughe del tempo" (2014) intreccia immagini d’archivio e luoghi attuali per riscoprire la memoria collettiva. Nel 2010 fonda "La mia strada TV", prima webTV del Sud Italia dedicata agli emarginati: tra reportage sui senza fissa dimora e dirette da laboratori scolastici, trasforma il digitale in uno strumento di inclusione.
**Europrogettazione e formazione: costruire futuro**
Accanto all’arte, Sparavigna coltiva una visione strategica. Dal 2019, come **Social Change Manager** ed euro progettista, disegna percorsi di innovazione per enti del Terzo Settore, gestendo bandi UE e coordinando iniziative come la "Nuova Agenda del Mediterraneo". In aula, da Napoli alle scuole di Torre Annunziata, insegna ai giovani a usare macchine fotografiche e social media come armi di consapevolezza, guidando progetti come "TV a colori" (2019), dove studenti diventano autori di webTV. Le recenti certificazioni in *Intelligenza Artificiale per il Terzo Settore* (2024) e *Management turistico* testimoniano una curiosità intellettuale mai spenta.
**Mostre e riconoscimenti: l’eredità di un visionario**
Le sue opere hanno viaggiato dal PAN di Napoli all’Italian American Museum di New York, passando per festival internazionali. Mostre come "Adolescenza: quale futuro?" (1996-2000), esposta a Firenze e Napoli, o "Emergency room" (2009), con finestre bruciate a simboleggiare il racket, sono gridi silenziosi contro l’indifferenza. Tra i premi, spiccano il **Leone d’Oro** (2018) per l’impegno sociale e il **Premio alla Carriera** (2013) dell’Associazione VerbinalandrArt, tributi a un artista che ha fatto della fotografia un atto politico.
**Tecnica e cuore: il dualismo di un artista**
Esperto di software di editing e diritti d’autore, padroneggia linguaggi analogici e digitali con uguale maestria. Le sue immagini, spesso in bianco e nero, giocano con contrasti drammatici e geometrie urbane, mentre i video uniscono estetica cinematografica a un ritmo documentaristico. Ma è l’umanità il vero filo rosso: dietro ogni progetto c’è una domanda, una sfida, un invito a guardare oltre l’apparenza.
Oggi, tra consulenze per Getty Images e mostre sensoriali come "DECUMANI – Voci del cuore di Napoli" (2017), Salvatore Sparavigna incarna il ruolo dell’artista engagé: un ponte tra arte e società, tra memoria e innovazione, che dimostra come la bellezza possa nascere anche dall’impegno.