Pierre-Yves Le Duc

Pittore, Artista
Napoli
Foto del profilo di Pierre-Yves Le Duc

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PIERRE-YVES LE DUC: BIOGRAFIA
Pierre-Yves Le Duc è nato in Francia nel 1964. Furono probabilmente le sue origini italiane ad indurlo a iscriversi alla Facoltà di lingua e letteratura italiana alla Sorbona, dove si laureerà nel 1988. Inizia già in questi anni un periodo di formazione a tutto campo durante il quale la naturale inclinazione per l’arte si alimenta attraverso una frequentazione assidua di teatri, spettacoli di danza contemporanea, gallerie d’arte, musei e concerti. Durante gli studi si reca frequentemente in Italia, attraversandola in lungo e in largo. Poi, il colpo di fulmine per Napoli dove decide di risiedere, dopo aver ottenuto una borsa di studio dell’Università.
Fin dal suo arrivo avverte il piacere di una accoglienza favorevole, fondendosi senza indugio con la vita locale. Percorre la città lasciandosi penetrare dalla ricchezza e dall’umanità della vita partenopea. Entra ben presto in contatto con i punti nevralgici e i protagonisti della vita culturale napoletana, senza peraltro tagliarsi fuori da altri importanti centri artistici e culturali ed in particolare Parigi, meta di frequenti soggiorni.
Nel 1989 realizza le sue prime opere, senza tuttavia aver ancora deciso di dedicare interamente la vita alla creazione artistica. Bisognerà attendere ancora tre anni e l’incontro con Alfredo Bovio di Giovanni – all’epoca ottantacinquenne e cittadino del mondo dell’arte da più di cinquant’anni – perché prenda la decisione di dedicarsi esclusivamente all’arte. È il 1992. Il sodalizio tra i due artisti sarà sigillato da una fortissima amicizia e da una stima reciproca. Le Duc frequenterà assiduamente il laboratorio di Di Giovanni fino alla sua morte nel 1995; deve a lui l’apprendimento dei rudimenti del “mestiere” e la pratica “accademica”. Da Alfredo, un autodidatta formatosi attraverso una lunga sperimentazione solitaria nonché molteplici viaggi ed incontri, erediterà la tecnica e i principi essenziali. È precisamente grazie a questa eccezionale amicizia con un “Titano dell’arte” che si delinea l’identità artistica di Pierre-Yves Le Duc, frutto di una ricerca personale in perenne confronto con il mondo.
Gli anni 1993/1994 saranno caratterizzati da una frattura profonda tanto da costituire un punto di non ritorno nella concezione che ha dell’arte e conseguentemente della sua pratica: l’opera non deve più trovare in se stessa il suo fine. Dovrà dialogare in modo dinamico, tanto sul piano fisico quanto su quello concettuale, con lo spazio destinato ad accoglierla – ma non solo. L’opera dovrà essere concepita come il risultato di un processo collaborativo. Entrano cioè in gioco architetti, ingegneri, light designer, gli artisti che frequenta, gli amici che collaborano sempre a titolo gratuito; una sorta di gruppo di ricerca, tanto più che la complessità dei progetti che vedono la luce cresce sempre più. Il laboratorio di Le Duc è aperto a tutte le collaborazioni e proposte costruttive al punto da trasformare in evento ogni sua installazione. La distanza tra il sito espositivo e l’opera si riduce alle dimensioni di un punto di incontro inevitabile in cui il fruitore gioca un ruolo cruciale: la sua presenza definisce il senso dell’opera. In altri termini egli diventa anche attore; è il suo posizionarsi all’interno dell’opera che dà un senso all’opera stessa.
Il primo confronto diretto con il pubblico risale al maggio 1994. Sceglie l’obelisco di Piazza San Domenico Maggiore, cuore del centro storico di Napoli. Vi presenta nell’arco di una sola giornata la sua installazione dal titolo Cenacolo. L’evento coincide con la prima edizione del “Maggio dei Monumenti”, che vedrà coinvolta l’intera città. Ispirata all’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, l’opera si compone di tredici tele. Ciascuna di esse ripropone lo stesso dettaglio dell’anatomia femminile: una vagina capovolta rappresentata antropomorficamente. Le tele sono disposte circolarmente attorno all’obelisco barocco, vero e proprio totem fallico, posto al centro della piazza. Portando con sé il suo punto di osservazione il fruitore determinerà la centralità  dell’opera, la quale nella pittura classica rappresenta la manifestazione del sacro. Diventa impossibile, in tal modo, separare l’osservatore dall’opera.
L’anno seguente Le Duc prosegue la sua ricerca pregna di erotismo. La nuova installazione, composta da 18 tele di 188 per 388 cm., vuole rappresentare in modo frammentato l’atto dell’accoppiamento, la cui figurazione sembra confondersi con quella di un vulcano in eruzione:  Le 9 muse e i 9 poeti. L’opera, prevista per essere esposta nell’emiciclo della grande Piazza del Plebiscito, appena restituita alla fruizione dei napoletani, subirà i rigori della censura politica. Sospese tra le colonne, le tele dovevano essere disposte alternando una Musa ad un Poeta. Lo spettatore, “spostando” lo sguardo da una tela all’altra in una visione cinetica, avrebbe in tal modo ricreato il movimento dell’animazione erotica.
Come reazione alla violenza subita da parte di un potere politico mal disposto, Le Duc decide nel 1996 di rifugiarsi nelle profondità dell’acquedotto greco-romano, accessibile dalla Piazza San Gaetano a Napoli (la “Napoli Sotterranea” è uno spazio privato, gestito gratuitamente da archeologi) per presentare un’installazione rivolta al potere in carica e intitolata I Quaranta Ladroni. Quarantuno monoliti sono disposti in modo da formare un percorso labirintico. Essi sono il simbolo di altrettante vagine e presentano allo stesso tempo una sintesi del corpo femminile come espressione della vanità racchiusa tra le braccia della morte, essa stessa rappresentata in filigrana da uno scheletro che stringe in un abbraccio ciascun monolite.
Nel dicembre 1998 Le Duc presenta Medium nella Sala del Lazzaretto di Napoli. L’installazione è articolata in tre tappe che il pubblico è invitato ad attraversare spostandosi da un capo all’altro dell’enorme sala. Realizza in tal modo la perfetta fusione nonché il perfetto accordo dell’opera con lo spazio occupato, sia per l’architettura che per la storia stessa della sala. Lo spettatore può così partecipare ad un’esperienza esistenziale, metafisica. Per la prima volta l’installazione è dotata di un accompagnamento sonoro. Opera dunque partecipativa, alla quale in molti hanno collaborato in modo decisivo. Pierre-Yves Le Duc decide simbolicamente e ironicamente, in guisa di ringraziamento, di riprodurre per il pubblico la sonorità di un frigorifero rumoroso che lo aveva accompagnato nel suo atelier durante tutta l’elaborazione dell’opera.
Nel febbraio 2004 installa gu, un monumentale light box, nella Sala della Meridiana del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Immersa in una semi-oscurità bluastra, accompagnata dalla registrazione sonora di un carillon alterato in modo che avesse il suono di un sonar sotto-marino, l’opera è ancora una volta la concettualizzazione ed il frutto della stretta collaborazione con il light designer Mario Amura. Vi hanno contribuito anche l’ASA Studio di Architettura nonché le competenze di ingegneri e professionisti operanti in vari settori. Una scultura in bronzo, Dieu sait quoi, completa l’installazione. L’acronimo gu rimanda in modo mordace al Giudizio Universale di Michelangelo, evocato da un nugolo di “scarabocchi antropomorfi” disposti a spirale il cui numero aumenta man mano che si allontanano dal centro della composizione.
Nello stesso periodo Le Duc presenta Soap opera, che rappresenta un’onda creata con l’utilizzo della schiuma del sapone per i piatti. Gli schizzi effimeri sono fotografati e successivamente ripresi con l’inchiostro di china su supporto cartaceo. È l’inizio di una ricerca iniziata nel 1996 che si conclude con il progetto di video-installazione Motion Painting, presentata a Torino nel 2008 e poi a Napoli nel 2009, dove sono esposte le quarantuno tavole facenti parte del piano sequenza destinato alla realizzazione del video.
Parallelamente nel 2008, in occasione di un’esposizione collettiva, Le Duc presenta il video Osso-Buco, visibile attraverso il buco della serratura di un armadio a muro della galleria Kaplan’s Projection. Nel 2010, in omaggio ai lavoratori immigrati abbandonati in un capannone in Calabria – all’interno del quale essi costruiscono una bidonville di cartone – realizza l’installazione Rosarno, desperate house-lives, cioè una casa fatta con i cartoni recuperati nei cassonetti dell’immondizia della città ed esposta sulla terrazza del palazzo Marigliano di Napoli. Nello stesso anno Pierre-Yves Le Duc presenta al Palazzo delle Arti a Napoli l’installazione Bonificarsi, Please!, quattro tele sospese in modo da formare le quattro pareti verticali di un cubo all’interno del quale il pubblico era invitato a deambulare per scoprirvi una visione particolarmente depurata delle quattro facce di una scatola cranica. L’accesso all’interno del cubo obbligava il pubblico ad abbassarsi, quasi a stendersi per terra, mentre solo la parte interna era illuminata.
Nel 2011, approfittando della libertà di azione offertagli, mette in mostra presso il Palazzo Reale di Portici ed in una sola serata tre installazioni, una delle quali sarà completata e presentata nello stesso anno nell’imponente salone del Palazzo Spinelli, sede della galleria Kaplan’s project, in occasione di una mostra collettiva. Nel marzo 2012 inaugura ad Atlanta l’esposizione Sacred Portal dedicata al tema dell’autoerotismo.
Nel 2012 si trasferisce con la moglie e la figlia in Francia, continuando a tenere aperto il proprio atelier a Napoli. A partire da questo momento si dedica alla realizzazione di opere tuttora inedite come Coup d’éponge, cioè Soap opera in versione gran formato: 36 inchiostri su carta che raccontano, come altrettanti fotogrammi del Diluvio Universale, il rapporto talvolta tragico dell’uomo con gli elementi della natura.
Occorreranno due anni per realizzare il progetto seguente, APPARATO: 12.000 disegni a inchiostro di china su carta, destinati ad una installazione che mette in primo piano il contenuto concettuale delle sue ricerche, seguendo un insieme di parametri rigorosi. Realizza nel 2015 numerose serie di collage, in cui fa dialogare vecchie foto ad intento turistico pescate casualmente durante le passeggiate napoletane con i dettagli risultanti da innumerevoli frammenti del progetto precedente.
Attualmente lavora all’elaborazione dei progetti Métastrophysique e Débordements. Altri progetti, quali l’installazione del video monumentale Motion Painting e l’installazione interattiva Kosmic whore, sono in attesa di uno spazio adeguato alla loro esposizione.
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