Self portrait with #B

opera
Self portrait with #B
Self portrait with #B
categoria Fotografia
soggetto Politico/Sociale, Figura umana
tags credenze, superstizione, simbolo, apotropaico , maschere, rituali
base 60 cm
altezza 90 cm
profondità 0 cm
anno 2019
stampa fine art giclèe rag photographique 310 gr carta Canson, montata su di Bond

La ricerca antropologica ed etnografica ricopre nel percorso di Maria Grazia Carriero un ruolo di primaria importanza; sempre più sistematici, questi studi sono presenti in nuce sin dagli esordi dell’artista, impegnata da subito nello sviscerare il rapporto tra “reale” e “virtuale”, quest’ultimo inteso non come qualcosa di astratto (e per questo irreale), ma come «modo di essere fecondo schiudendo prospettive future, scavando nuove possibilità di senso in contrapposizione alla presenza fisica immediata». Virtualità perciò complementare della realtà, non sua antagonista.
Su questa direttrice d’indagine, scientifica oltre che stilistico-formale, la produzione di Carriero ha di volta in volta messo in luce le varie sfaccettature della dimensione virtuale, che sempre più spesso viene erroneamente associata tout court a internet, che pure l’autrice ha analizzato e riproposto in lavori come Qual è la migliore opzione? La A, la B o la C? (2010), Nomen Omen, Lingua nella Lingua e Archicode (2011). Nel corso degli anni, l’artista ha invece posto l’accento su altri aspetti, convogliando gli studi in personali visioni, in cui s’intrecciano suggestioni provenienti dall’ambito delle tradizioni popolari, dal folklore più arcaico e più autentico.
Basato sulla stratificazione laico-religiosa di rituali e superstizioni, sincretismo di pratiche cristiane e pagane, il mondo osservato da Maria Grazia Carriero, pugliese come lucano, è una realtà fenomenica legata al quotidiano umano, alla sua memoria e al suo rapportarsi con oggetti e simboli apotropaici fortemente evocativi: «Mi interessa osservare la persistenza di un pensiero “magico” in una società culturale estremamente votata alla tecnologia, che sembra avere i suoi fondamenti nell’epoca postindustriale, che apparentemente respinge le credenze e tuttavia ad esse ricorre».
La condizione paradossale dell’umanità contemporanea, stretta tra l’evolversi incessante della tecnologia e il persistere di retaggi e paure ancestrali, diventa terreno fertile per l’estetica e le attitudini creative di Carriero, che si sono manifestate in una produzione apparentemente eterogenea nei risultati ultimi, ma che invece è del tutto coerente con la ricerca di base; da Viaggio in valigia del 2009 a Waiting del 2018, i materiali e gli oggetti utilizzati (le valigie, gli indumenti, le scope, la pasta di grano duro, la canapa, l’olio d’oliva) sono rimandi puntuali a un sistema di valori e consuetudini di non sempre facile interpretazione, in particolare per quanto riguarda la superstizione e i suoi riti, un universo di immagini tradotto in video, installazioni e pubblicazioni scientifiche.
Hunting Evil, ultima tappa in ordine di tempo di questo percorso articolato, è un ulteriore approfondimento e reinterpretazione di pratiche scaramantiche – che si legano nello specifico al corno animale – ancora oggi presenti nella vita di tutti i giorni, che sin dall’antichità greca e romana hanno rappresentato un’efficace difesa al male e una conseguente capacità di calamitare benessere e prosperità.
Le opere presentate nello Spazio MICROBA di Bari, dove Maria Grazia Carriero realizza un’installazione ambientale in dialogo con l’architettura circostante, sono di natura scultorea e fotografica. I piatti di ceramica, già presenti in precedenti lavori come Affascino e In & Out, entrambi del 2015, dove viene affrontato il tema della “fascinatura magica” associati all’olio e alle forbici, oggetto taumaturgico ed esorcizzante, si uniscono a una serie di corna di animali (zebù, gazzella piccola, gazzella grande, montone, kudù, bufalo, bue) che l’artista ha acquisito e, attraverso la creazione di duplicati, ha innestato su un’immacolata estensione bianca.
Il connubio tra questi due elementi porta alla creazione di vere e proprie maschere apotropaiche, scudi beneauguranti che rimandano a pratiche antiche di protezione del focolare domestico, ma anche autentiche armi con cui porsi sulle tracce degli spiriti maligni, a cui dare la caccia e non semplicemente scacciar via.
La carica “guerriera” di queste creazioni, che trovano nel candore delle forme e nelle superfici lisce la loro peculiare caratterizzazione (interrotta unicamente nel caso del piatto recante le unghie, nere, di una capra), si rintraccia anche nella contestuale serie fotografica, nella quale l’autrice si fa ritrarre con il figlio Giosuè in posture tra il materno e il marziale, con rimandi alla cultura e alla mitologia egizia, alla dea Iside con in grembo il piccolo dio Horus e in testa due corna bovine tra cui è racchiuso il Sole, che s’intrecciano con l’inevitabile iconografia mariana e della santa maternità.
Ricucendo tra loro lembi di tradizioni solo geograficamente distanti, unendo suggestioni che provengono dalla storia, dalla tradizione, dall’arte del passato, Maria Grazia Carriero realizza una galleria di candide figurazioni, in cui sintetizza il proprio stile creativo personale con gli studi antropologici sulla mistica popolare e sulla superstizione, un “concetto problematico” da affrontare che però trova adesso una diretta ed efficace rappresentazione visiva e plastica.
testo a cura di Nicola Zito, estratto dal catalogo Hunting Evil, edizione Castellano 2019
artista
Maria Grazia Carriero
Artista, Taranto
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